Il complesso monumentale di San Lorenzo Maggiore (Napoli) ha ospitato un evento che ha chiamato a partecipare giovani da tutt’Italia. Un esperienza significativa quella della masterclass a cura del maestro Vincenzo Maltempo, promossa dall’associazione Corale Giubileo, uno spazio interamente dedicato alla musica, in cui pianisti già formati accademicamente hanno avuto la possibilità di mettere alla prova le loro conoscenze, sottoponendole all’occhio critico di esperti, i questo caso quello del maestro Vincenzo Maltempo, eccelso pianista poliedrico, che nonostante la sua giovane età, gode di una vasta notorietà in tutto il mondo. Le sue note, raffinate ed intelligenti, sono state ascoltate a Miami, in Germania , in Mexico, in Olanda e in Italia, dove l’artista si è formato sotto la guida di Salvatore Orlando (allievo del pianista Sergio Fiorentino), e in cui continua a vivere e ad insegnare. La sua discografia è arricchita dei classici del compositore francese Charles Valentin Alkan, di cui oggi, Vincenzo è considerato il miglior interprete. Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il maestro Vincenzo Maltempo.
Si ritiene soddisfatto della sua partecipazione all’evento?
«Assolutamente. Mi ritengo soddisfatto sia in termini di numero che di qualità. I ragazzi con cui ho lavorato questi due giorni sono eccezionali».
Cosa ne pensa di Napoli come dimensione musicale?
«Napoli è meravigliosa. Non la conosco bene ma la scuola campana in genere è una delle migliori. I musicisti campani, i napoletani in particolare, hanno una marcia in più. Originali e preparati. Una città vivace e sempre in movimento, peccato manchino le risorse economiche per finanziare eventi culturali di qualità».
Si in effetti, mancano le agevolazioni, ma soprattutto manca la partecipazione . Un circolo vizioso in cui meno offerta produce meno domanda, e meno domanda provoca poco offerta e così via.
«La nostra società ci impone una cultura che sta diventando sempre più di facciata, e sempre meno di profondità. Sono pochi quelli che continuano e vanno oltre il lato superficiale delle cose. Per questo mi piace chiamare i miei allievi “eroi”. Perché continuano a mantenere in vita questo tipo di tradizione musicale e in qualche modo, a custodirla. Bauman parlava di società liquida. Una società in continuo cambiamento le cui tempistiche sono sempre più veloci. Abituati al modus operandi delle tecnologie, il cui approccio e immediato e diretto sembra chiaro che mettersi ad ascoltare un pezzo del ‘700 diventa impossibile. Si è persa dapprima l’attenzione, di conseguenza l’interesse».
Di recente è uscito “Liszt, the complete Hungarian Rhapsodie”, il tuo nuovo album che ha già riscosso un grandissimo successo…
«È il mio decimo lavoro discografico. Sono rapsodie ungheresi, che contano 19 brani conosciute e amate da moltissimi pianisti. Mi sono costate duro lavoro ma i risultati si vedono. Mi sta dando molte soddisfazioni e ne sono molto fiero».
Progetti futuri?
«Nell’immediato futuro, dormire. (ride n.d.r.) Nel prossimo invece sarò occupato in diverse registrazioni tra cui le 10 sonate di Skrjabin, e in concerti in giro tra cui uno in Germania ed un altro in Austria».
Parliamo di un momento significativo del tuo percorso.
«Sicuramente il Premio Venezia nel 2006, un concorso che apre le porte ai migliori neo diplomati. È una grande possibilità per farti notare. Io lo vinsi e cominciai così i concerti e ovviamente ad incidere dischi. Il secondo momento importante è stato quando nel 2009 sono stato scoperto per le registrazioni di Alkan. Da qui ho raggiunto una certa notorietà».
Che qualità pensi debba avere un pianista di successo?
«Una base di talento e sicuramente la tenacia e la passione, voler veramente suonare il piano con amore e con passione. Non ci sono mezze misure, soprattutto oggi in cui le cose sono così complicate data la competitività dell’ambiente. Troppi emergenti, per potersi distinguere la qualità essenziale è l’impegno costante. E praticità mentale».