Steve McCurry, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, in mostra al Pan (Palazzo delle Arti di Napoli) con un’esposizione “Senza confini”, in programma fino al 12 febbraio. La fama del grandissimo fotoreporter americano, classe 1950, Steve McCurry è indubbiamente legata alla splendida fotografia Ragazza Afgana, sicuramente uno dei più suggestivi ritratti nella storia fotografica. Pubblicata come copertina del National Geographic Magazine di giugno 1985, è divenuta la più nota uscita dalla rivista. Il ritratto fu scattato in un campo profughi vicino Peshawar, in Pakistan e l’immagine poi è stata nominata come “la fotografia più riconosciuta” nella storia della rivista; utilizzata ampiamente anche su poster e calendari di Amnesty International.
L’identità della Ragazza Afgana è rimasta sconosciuta per oltre 17 anni finché McCurry, ed un team del National Geographic, trovarono la donna, Sharbat Gula, nel 2002. Quando finalmente McCurry la ritrovò, disse: “La sua pelle è segnata, ora ci sono le rughe, ma lei è esattamente così straordinaria come lo era tanti anni fa”.
Questa e tante altre (anche le foto non ancora pubblicate nei suoi numerosi libri) costituiscono il nucleo della nuova rassegna allestita nel Palazzo delle Arti di Napoli dal titolo McCurry – Senza Confini. In effetti, ogni fotografia è un mondo, un complesso universo di esperienze e di emozioni, di colori e di visi. Tanti infiniti universi a forma di persone che McCurry ha incontrato nel suo impegno “senza confini” nei luoghi del mondo dove si trovano conflitti e sofferenze enormi. Il tema è purtroppo ancora (e lo sarà per sempre) di grande attualità e Steve McCurry lo ha documentato fin dalla fine degli anni ’70. La sua carriera, infatti, è stata lanciata proprio da un servizio effettuato quando, travestito con abiti tradizionali, ha attraversato il confine tra il Pakistan e l’Afghanistan, controllato dai ribelli poco prima dell’invasione russa. Quando tornò indietro, portò con sé rotoli di pellicola cuciti tra i vestiti e quelle immagini, pubblicate in tutto il mondo, sono state tra le prime a mostrare il conflitto al mondo intero. Il suo servizio vinse anche la Robert Capa Gold Medal for Best Photographic Reporting from Abroad, un premio assegnato ai fotografi che si sono distinti per eccezionale coraggio e per le loro imprese.
A Napoli, il progetto espositivo curato da Biba Giacchetti, propone, quindi, un viaggio nel mondo di McCurry, dall’Afghanistan all’India, dal Medio Oriente al Sudest asiatico, dall’Africa a Cuba, dagli Stati Uniti all’Italia, attraverso il suo vasto e affascinante repertorio di immagini, in cui la presenza umana è quasi sempre protagonista. Nel felicemente caotico allestimento di Peter Bottazzi questa umanità ci invade l’anima, ci viene incontro con i suoi sguardi in una sorta di girotondo dove si mescolano età, culture, etnie, che McCurry ha saputo cogliere con straordinaria intensità.
Al fotografo è andato anche l’onore, concesso da Eastman Kodak, di utilizzare l’ultimo rullino di pellicola Kodachrome che è stato sviluppato nel luglio 2010 da Dwayne’s Photo. “Ho fotografato per 30 anni e ho centinaia di migliaia di immagini su Kodachrome nel mio archivio. Sto cercando di scattare 36 foto che agiscano come una sorta di conclusione, per celebrare la scomparsa di Kodachrome. È stata una pellicola meravigliosa”.
Purtroppo, quando si parla di McCurry, si cita sempre il problema evergreen da quando è nata la fotografia e dalla nota foto di guerra del 1936 di Robert Capa. Si pone al centro il problema della veridicità, una questione assurda in quanto i ritocchi e le alterazioni sono sempre esistiti e, anche nelle intoccabili immagini di guerra, se non alterano il senso stesso, possono rendere il concetto ancora più chiaro e più impresso (che è poi l’obiettivo di qualsiasi lavoro fotografico).
McCurry stesso afferma: “Credo sia del tutto legittimo intervenire, ad esempio, per minimizzare, agendo sui contrasti, un dettaglio marginale che rischia di essere invadente o distraente, o per scurire lo sfondo di un ritratto quando vuoi far risaltare meglio l’espressione del viso, per concentrare l’attenzione su quello. Anche riquadrare a volte è necessario per migliorare l’equilibrio di un’immagine”.
In effetti, lo stesso Ansel Adams diceva che il negativo è come una partitura musicale e la stampa è l’esecuzione.