Si dice che un’Artista per essere tale dovrebbe aver attraversato i mari tumultuosi dell’ispirazione e questi mari Rolando Attanasio sembra averli solcati con tante imbarcazioni diverse ed essere uscito indenne da ogni tempesta burrascosa. Un quarantenne dall’aspetto guerriero, fiero, un templare ritornato a Napoli per raccontare l’internazionalità di questa città affacciata sul mediterraneo, per ricostruirne il suo antico ruolo di capitale del Regno. Il suo motto è “o si conquista il mondo o si muore” e tutta la sua produzione artistica che spazia dal cinema al teatro, dalla pittura alla scultura, dalla poesia alla performing art, sembra attraversata da questo Vril, quel fuoco che in alchimia, altra materia a lui cara insieme all’astrologia, trasmuta tutte le cose invitando lo Spirito a farsi materia. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare della sua ultima raccolta di poesie Windward.
Alla poesia è sempre stato attribuito un ruolo catartico sia per lo scrittore che per il lettore, come fosse un veicolo di guarigione. Leggendo Windward ho ravvisato una sorta di “immaturità”. Quali sentimenti vi abitano?
«WindWard e un libro di contro poesie, delle vere e proprie prose poetiche, alcune giovanili, dal tono polemico a volte arrabbiato, dove ho raccontato un personaggio catapultato in questo mondo che si sente disadattato. Il significato è andare contro vento, una modalità di andare, di spalle, verso il mondo. Sono stato un giovane che aveva delle idee fuori dal comune e che faceva scelte non convenzionali e questo mi ha portato anche ad un periodo di disadattamento sociale, sentirsi escluso perchè diverso, un contrasto non diretto, una sensazione di estraneamento dal contesto.»
Che viaggio fa chi legge Windward?
«Nella poesia “il sole nel cuore”, che è stata scritta durante una serie di meditazioni che ho fatto, viene rappresentata tutta l’ambivalenza del libro, tra la speranza infinita che alberga dentro di noi e la decadenza da fine del mondo che c’è intorno a noi. Una doppia linea, una sorta di schizzofrenia che ci fa percepire il nostro valore, la nostra immensità e la fine di un ciclo, una fase terminale del mondo, ben descritto anche nella “la luna è morta”.»
Questa opposizione si ravvisa anche nel tuo mostrarti forte, passionale e le tue poesie sono invece asciutte, concise, pungenti come il ghiaccio…
«Io so scrivere anche in modo bucolico e in questo libro c’è sia una parola cruda, che un linguaggio metafisico, perchè in quel momento nella mia vita c’erano compresenti una forte spiritualità che si manifestava con un fuoco sacro, in cui percepivo la nobiltà di ogni singolo individuo e dall’altra mi appariva un mondo crudele, e ho cercato così di far convivere queste due voci. In fondo l’artista è colui che percepisce l’energia del proprio tempo e questo tempo è così, ha un’energia doppia.»
La tua voce più che doppia sembra tripla quadrupla, cioè per ogni forma di arte che usi, sia esso teatro, pittura o altro sembra che non provenga dalla stessa mano. Ne sei consapevole e perchè accade ciò?
«È vero, e questo può essere definito ecletismo, ma in realtà è lo spirito del nostro tempo che sembra essere simile all’epoca rinascimentale dove Savonarola veniva bruciato in piazza e il Betao Angelico dipingeva quadri delicati e tutto avveniva in contemporanea. Osservare attraverso un occhio stroboscopico le infinite possibilità che la natura umana ha, ti fa percepire questi sentimenti contrastanti che compongono la grande rete diversificata dell’ umanità e tutto ciò è molto affascinante, ecco perchè ho scelto con coraggio diverse forme per raccontarla.»
In che modo e perchè scegli una forma d’arte in luogo di un’altra?
«La pittura, che non è morta come molti dicono, ha una vibrazione legata al colore e quella della poesia è legata alla parola e questa differenza di vibrazione li rende veicoli diversi.»
E tu fai una scelta istintuale fra i due?
«Ci sono periodi in cui mi faccio scegliere, kronos viene a me attraverso fenomeni esterni che mi richiamano a quella forma d’arte ed io la seguo istintivamente, mi lascio andare sulla scia di un richiamo esterno.»
Se tu dovessi guardarti in fondo, sapresti quale di queste forme d’arte ti rende più felice mentre ti abbandoni alla creazione?
«In certi momenti la poesia mi ha reso molto libero. Ti do una risposta sconcertante: la felicità l’ho provata in assenza dell’arte stessa. Ti dico una cosa pericolosa per gli artisti che in genere si sentono degli eletti: l’arte è un surrogato della felicità. Mi da felicità uno spettacolo insolito della natura come ad esempio quando ho visto l’eruzione dell’Etna con la neve o la profondità degli abissi.»
E il sentimento dell’Estasi, se si può definirla tale, può essere raccontata dall’arte?
«L’arte è uno squarcio di verità nel mondo, in un momento si accende la luce, ma c’è qualcosa di più di questo ed è frustrante per un artista accorgersene. Un’artista può essere talentuoso ma non raccontare la sua Verità, non giungere al proprio limite da cui scoprire un oltre.»
La tua ecleticità comprende sempre un oltre, da qui la tua passione per l’esoterismo, l’astrologia o l’angelologia?
«Avevo 11 anni quando mia madre mi portò al primo incontro di astrologia, quindi l’ho masticata molto presto e la vivevo come un gioco, poi mi sono reso conto che avevo in mano uno strumento antichissimo e profondo, per anni dilegiato dalla cultura scientista che ha sottovalutato gli aspetti simbolico/mitici. Ora la scissione fra arte e scienza si sta sanando.»