“La Voce – il talento può uccidere” è il primo lungometraggio cinematografico che vede Augusto Zucchi alla regia. La storia è complessa quanto basta: si racconta di un imitatore di grande talento, magistralmente interpretato da Rocco Papaleo che ha la straordinaria capacità di rubare la personalità di chiunque imiti. Per questa sua dote l’uomo viene ingaggiato dai servizi segreti fino a entrare in un gioco di ruoli da cui risulta difficile uscire. Tragico e inevitabile un finale su cui la figlia della “voce” inizia ad indagare. Dopo aver visto il film, abbiamo avuto l’opportunità di poterne parlare proprio col suo regista nonché attore e sceneggiatore.
Come è stato questo esordio alla regia sul grande schermo?
«In una parola sintetizzerei con “traumatico”. Mi spiego meglio però: traumatico non perché il film richiedesse chissà cosa, ma perché dal momento in cui è nata l’idea del film al momento in cui è stata concretizzata sono passati molti anni. Questo divario temporale mi ha un po’ disorientato.»
Cosa in particolare è cambiato nel corso del tempo?
«Le idee nel tempo tendono a modificarsi, ma soprattutto cambia la realtà che ha una velocità e una fantasia che supera quella di chi fa spettacolo. Ecco quindi che l’idea del film si è trasformata attraverso ciò che mutava nel tempo.»
Fortunatamente però il film ha ricevuto quello che mi permetto di definire un “concreto incoraggiamento” …
«Si, la produzione che ha presentato il progetto al Ministero ha avuto la fortuna di ricevere un premio all’autore che ha aiutato anche da un punto di vista economico. Così abbiamo iniziato a girare ma comunque ci sono stati diversi cambiamenti di carattere produttivo – organizzativo. Dopo cinque settimane ci siamo fermati e poi abbiamo ripreso dopo qualche anno. Fortunatamente l’ultima produzione che si è occupata del film ha preso in mano la situazione avendo il coraggio di concluderla.»
È interessante che lei metta in luce tutta questa serie di problemi nonostante il film sia ormai nelle sale.
«Molto spesso quando si riesce a risolvere il singolo problema, si cerca poi di dimenticare quanti altri ce ne sono stati e ce ne saranno ancora. Colgo l’occasione di quest’intervista per sottolineare che, a mio avviso, per le opere prime del cinema italiano forse ci vorrebbe un controllo maggiore. Le cose potrebbero cambiare senza eccessivi sforzi, non sempre serve una rivoluzione ma solo più attenzione. Per questo film sono entrate in gioco persone che hanno fatto sì che uscisse, ma voglio mettere in luce che se tendiamo tutti a utilizzare l’arte di arrangiarci ecco che ognuno noi ha una parte di colpa. E dico tutto ciò nonostante il mio lavoro abbia superato le aspettative.»
Qual è stata l’idea iniziale per il film? Volevi raccontare la storia di Alighiero Noschese?
«No, non volevo raccontare di Noschese. In questo film ho voluto parlare di un imitatore talmente bravo ad imitare gli altri e così confuso nell’essere se stesso. “Uno, nessuno e centomila”, per intenderci.
Di conseguenza però, tanti anni fa se uno doveva pensare a un imitatore si associava Noschese. Anche oggi Alighiero resta l’imitatore per eccellenza, ma i giovani non lo conoscono.
Fellini su Noschese disse una cosa bellissima: “è un ladro di anime, è capace di rubare l’anima degli altri”. Ecco, questo ho preso da Noschese per regalarlo al protagonista del mio film.»
Lei parla proprio di un imitatore che va oltre l’imitazione della voce quindi, un imitatore con qualche cosa in più. Giusto?
«Esatto e qui si torna alle coincidenze e ai riferimenti con la realtà e anche alla scelta di fare un noir, un thriller. A un certo punto delle riprese mi sono fatto una domanda proprio sulle intercettazioni telefoniche di cui si parla anche nel film: se oggi la maggior parte delle indagini partono dalle telefonate, cosa succede se si inizia a mettere in dubbio la veridicità del soggetto intercettato? Tutto può essere messo in discussione e il film risente di tutta una serie di vicissitudini e traversie che non avevano nulla a che fare con la pellicola, ma questo è normale. C’è sempre l’idea astratta di un qualcosa di concreto.»
È contento di come sono andate le cose per quest’ “opera prima”?
«Molto contento, perché al di là delle mie aspettative il film è stato accettato con molte riflessioni che i critici hanno fatto su un certo modo di raccontare questa storia. Hanno definito il mio un modo discreto di raccontare una storia senza gridare e questo commento mi è piaciuto.»
La collaborazione con Papaleo è avvenuta dopo una scelta tramite provini?
«Si, esatto: ho fatto dei provini e Papaleo è stato quello più convincente e anche quello che ha dimostrato maggior interesse per il film. Il personaggio gli è piaciuto fin da subito e questo mi ha anche incoraggiato in qualche modo durante le riprese. Abbiamo lavorato bene, ha aderito all’idea di regia lasciandosi guidare, cosa che non molti fanno e devo dire che ha dimostrato ancora una volta di essere un attore a 360 gradi.»
A mio avviso c’è molta differenza tra l’interpretazione sua di Papaleo rispetto a quella degli altri personaggi. Non pensa anche lei che sia molto evidente la discrepanza qualitativa?
«Io trovo che anche gli altri siano stati bravi. Certo l’approfondimento del personaggio dà anche un maggior modo di esprimersi e forse alle volte alcuni attori vengono un po’ penalizzati.»
Cosa deve fare per lei il cinema?
«Per me il cinema deve essere azione. Il pubblico in qualche modo deve essere costretto a vedere il film perché quest’ultimo gli sta raccontando qualcosa. Il thriller deve essere solo l’escamotage per creare poi un approfondimento sui personaggi. C’è differenza tra raccontare una vicenda e raccontare una storia.»
Ha altri progetti in cantiere?
«Avendo comunque adesso un primo film di nicchia, questo non mi aiuterà per una seconda prova alla regia. In un prossimo futuro però voglio raccontare del mercato dei bambini. Il film si intitolerà “Il bacio dell’orco” e racconterò la storia di una bambina che dopo essere stata rapita entra nel mercato della pedofilia. Questo è un progetto che mi sta molto a cuore, ora bisogna vedere quanto sarà difficile trovare un produttore.»