È uscito di recente “Talent”, il nuovo singolo della band romana denominata “Le Mosche”. La canzone, feat Nevruz Joku, comunica in maniera ironica una riflessione sui talent show. Le Mosche, infatti, raccontano attraverso la loro musica il “letame” intorno al quale vivono e sono costretti a nutrirsi. A ottobre uscirà “Senza Ali” il nuovo Lp, i cui brani sono il frutto di un viaggio interiore alla ricerca della vera felicità.
Il vostro nuovo singolo ironizza sul mondo dei talent e di quanto questa forma di spettacolo televisivo sia dannosa per la musica. Possiamo colpevolizzare soli i talent o anche le major che ne fanno parte?
«Evitiamo i fraintendimenti, non si vuole colpevolizzare né il talent show di per sé, né l’industria della musica che da sempre, come accade in tutti i mercati, mira a vendere un prodotto per ottenere un guadagno. Il fatto che non si voglia più rischiare di investire su un prodotto è comprensibile se si ha un’ottica puramente imprenditoriale. Grazie al talent si creano le basi per il paradiso dell’imprenditoria musicale: creo il prodotto e il suo pubblico, che lo vede nascere, formarsi e crescere e che poi comprerà i suoi dischi… Il problema è che si tratta appunto un prodotto, il più delle volte plasmato su quello che è una pura direzione commerciale, non artistica. Tale formazione sfrutta sicuramente le attitudini dell’artista ma le plasma e le esalta proprio per dar forza al prodotto. Da una parte è quasi positivo, dall’altra questo “aiutino” sul percorso artistico dell’individuo (senza contare che parliamo sempre e solo di cantanti… gli strumentisti non sono minimamente considerati, avallando così una crescente disabitudine all’ascolto della musica strumentale) fa sì che ci sia una sempre più grande omologazione dell’offerta musicale. Improntata dall’inizio quasi esclusivamente per vendere, piuttosto che mettere a disposizione dell’ascoltatore una varietà di prodotti che vogliano dire effettivamente comprare emozioni. Diventa tutto uguale».
La vostra musica mira a rivelare ciò che è più fastidioso del pensiero comune e individuale. Non vi spaventa il fatto che questo vostro “ruolo” nel mondo della musica possa essere mal visto dagli addetti ai lavori?
«Dipende sempre cosa intendiamo con la definizione “addetti ai lavori”. Se ci riferiamo agli altri musicisti chi se ne frega. Ognuno fa quello che vuole con la propria espressività ed ogni essere umano questo dovrebbe tenerlo a mente quando si confronta con gli altri. Il rispetto del pensiero altrui e il diritto a far valere il proprio crediamo siano alla base di una civiltà sana.
Se ci stiamo riferendo ai discografici o a chi investe in generale sulla musica ti rimandiamo in parte alla risposta di prima. In parte c’è da dire che non essendo usciti da un talent evitiamo di parlare di “quanto sei bella”, “facciamo festa”, “tu mi odi” e “io ti amo” e offriamo un punto di vista che fa semplicemente parte di un pensiero, nel nostro caso un pensiero che da individuale, si confronta con altre 2 teste (siamo in 3 a scrivere e comporre) diventa collettivo e viene messo in musica senza troppo zucchero».
Come osservatori del marcio della nostra società, cosa vi infastidisce particolarmente?
«Nelle nostre canzoni parliamo della difficoltà ad affrontare il tempo che passa, del confronto con sé stessi, di cosa vuol dire per chi ha ancora viva una certa sensibilità e coscienza vivere in un mondo in cui tutti hanno e vogliono tutto, anche il cuore e l’anima degli altri.
Parliamo di un mondo in cui il consenso di chi abbiamo intorno è diventata la cosa più importante da ottenere per sentirsi bene con sé stessi.
Insomma, da mosche quali siamo diventati abituati ad essere imboccati di tutto questo letame restiamo in piedi e disillusi a dire la nostra, sperando che serva per cambiare qualcosa nel cuore di chi ci ascolta».
Dal vostro ronzio che tipo di risposte avete ottenuto?
«Nei nostri concerti abbiamo riscontrato due tipi di reazioni molto contrastanti e nettamente divise. Non è facile sentirsi mettere al muro e costretti a fronteggiare il marcio che abbiamo dentro. C’è chi è abituato a farlo e che quindi apprezza di trovarsi a condividere alcuni lati di questo cammino interiore e c’è chi prova semplicemente repulsione e fastidio. La schiettezza non è sempre gradita, soprattutto per chi pigramente preferisce rimanere nella propria condizione e lamentarsi piuttosto che fronteggiare i propri fantasmi e provare a migliorarsi».
Perché avete scelto di collaborare con Nevruz Joku?
«Perché è una persona che con grande forza di volontà, fiducia in sé stesso e un grandissimo amore per la musica, non si è fatta piegare né schiacciare dal grosso tritacarne del mercato discografico mainstream ed ha continuato ad andare avanti, perfezionandosi e portando alta la bandiera dello scrivere e suonare le proprie canzoni. Nevruz è un ottimo batterista (ex componente dei “water in face”, progetto che prima ancora dei “bud spencer blues explosion” aveva osato fare musica rock e al contempo ballabile in duo chitarra e batteria in Italia) e uno sperimentatore vocale come pochi ce ne sono, sulla scia degli insegnamenti di Demetrio Stratos (sia musicali che di vita) non ha mai smesso di urlare la propria arte. Nevruz ha accettato di collaborare con noi ironizzando sulla questione dei talent proprio perché, senza rinnegare il proprio passato ha voluto scherzarci su, facendolo alla maniera delle Mosche, prendendo qualcosa di scomodo e chiacchierato e portandolo semplicemente alla luce. Anche noi qui abbiamo vestito dei panni più “colorati” del solito. “Talent” è volutamente l’unico pezzo funk del disco, l’unico pezzo allegro del disco. Volevamo divertirci e basta ed è stato bello».
A Ottobre esce il vostro Lp “Senza Ali”, potete anticiparci qualcosa sui brani scelti?
«Quello che possiamo dire è che al di là di una superficiale scorza cupa e autolesionista dei brani si nasconde un principio base fondamentale in realtà molto ottimista: la ricerca interiore della felicità.
“Senza Ali” è un viaggio dentro sé stessi. Utilizzando diversi generi musicali (anche se di base essenzialmente rock e pop) cerchiamo di riprodurre quello che abbiamo provato affrontando certi temi sperando che l’ascoltatore ci segua e sperimenti la stessa gamma di sensazioni. E’ un discorso lungo che probabilmente continueremo nel secondo album».