Come è bello viaggiare nelle nostre tradizioni, nelle pieghe del nostro dialetto campano con le sue storie di fate, di maghi, di donne astute e giovani poco avveduti. Il Napoli Teatro Festival Italia sceglie location dall’alto valore culturale e le apre al pubblico così da farle conoscere ancora di più; è il caso di Villa Pignatelli, la bella villa neoclassica della Riviera di Chiaia che ospita “Una favola di Campania” di Marco Balsamo. Un progetto che valorizza lo spazio all’aperto, appositamente pensato ed allestito per il festival (speriamo che diventi una location fissa per fare spettacoli in città). Le vicende campane che hanno, nel corso dei secoli costruito la nostra identità, vengono raccontate da attori del calibro di Giuliana De Sio, Umberto Orsini, Vincenzo Salemme, Claudio Santamaria, Giancarlo Giannini, Alessandro Haber, Isa Danieli, Giuseppe Battiston, Isabella Ferrari, Leo Gullotta che, in diversi luoghi della Campania, diventano dei traghettatori tra le pagine della nostra storia. I protagonisti intrattengono gli spettatori ammaliandoli con la ricchezza del nostro dialetto e facendoli immergere nel variegato mondo di accenti, modi di dire, variazioni e tanto altro.
Il regista del progetto è Fabrizio Arcuri che, forse, non ha valutato la difficoltà del napoletano quando ha scelto i suoi narratori. Claudio Santamaria protagonista proprio in Villa Pignatelli di quattro racconti, ha avuto non poche difficoltà con il dialetto; tali incertezze non gli hanno consentito di raccontare con fluidità le sue storie. L’attore era frenato nell’espressione e le sue doti recitative hanno stentato a venire fuori. Solo dal secondo racconto e, stravolgendo il napoletano in un simpatico dialetto toscano, è riuscito a dare corpo alla sua interpretazione.
Tra un racconto e un altro i contrappunti musicali dell’Orchestrina musica da ripostiglio che con padronanza, accuratezza e simpatia ha accompagnato l’attore nel suo racconto; gli interventi musicali, caratterizzati anche da simpatici effetti sonori, sono stati un tappeto sonoro gustoso e calzante.
Buona , dunque, l’idea ed ottimi i testi, ma il napoletano è un “qualcosa” da maneggiare con cura.