«Abbiamo suonato col sole, con il caldo, con la brezza, con la pioggia a catinelle. Ma niente ha potuto fermare il nostro party. Questo tour italiano è stato speciale. Grazie a tutti voi italiani». Così ieri sera Simon Le Bon, cantante dei Duran Duran, mitica band con 35 anni di carriera, al termine del tour italiano che ha portato le superstar del pop inglese in Italia per il quarto tour da quando si sono rimessi assieme nel 2001.
Simon ha parlato dal microfono dello Street Music Art Festival di Milano, in una location gremita fino all’ultimo posto nel mezzo di un concerto da un’energia invidiabile. Gli abbiamo detto, incontrandolo prima della prosecuzione del tour europeo della band, che negli show dal vivo spesso i protagonisti sul palco sembrano avere addirittura più energia del loro stesso pubblico, tale è la raffica di successi che inalano a ripetizione soprattutto nel mezzo della scaletta: «Davvero? – ci ha risposto – non ne sarei sicuro perché voi italiani davvero ci avete dato tanto questa volta. È stato uno dei migliori tour che abbiamo mai fatto qui e se è tutto riuscito bene è soprattutto per merito del calore del pubblico. Per noi è stata un’occasione per confermare quel rapporto speciale che c’è tra i Duran Duran e l’Italia. Davvero unico».
Partiti dal teatro antico di Taormina il 5 giugno per poi far tappa in altre gremitissime piazze (Roma, Verona, Firenze e l’ultima, appunto a Milano). Stessa setlist, che per l’occasione si apriva con “Paper Gods“, dall’ultimo album dall’omonimo titolo, e proseguiva subito con due canzoni leggendarie come The Wild Boys e Hungry Like The Wolf. Dal vivo, con la chitarra di Dom Brown, i Duran si sono mossi sul territorio che più gli appartiene, quel pop/rock condito dall’elettronica tipica 80s che è tanto in voga oggi e che è nata dalle menti e dalle mani di loro stessi. «C’è un momento funk molto serrato – ci ha detto il batterista Roger Taylor prima di lasciare l’Italia – dove volevamo inalare un hit dopo l’altro proprio al centro del concerto. E so che l’effetto senza sosta funziona molto».
Ad avercene repertori come il loro. Il fatto che i Duran in 14 album siano sempre cambiati ma che non abbiano mai abbandonato le loro radici gli rende giustizia alla lunga. Si possono permettere di rispolverare i classici e mischiarli con i pezzi più recenti senza creare discontinuità.
Vederli suonare al massimo dell’energia l’inno dei paninari (“ragazzi selvaggi”) che proprio a Milano crearono l’ultimo movimento culturale giovanile italiano legato alla musica negli anni 80, è stato emozionante. Accolta da un boato da parte dei più giovani fan anche “Pressure Off”, il lead single dell’ultimo disco che resiste nei favori del pubblico a un anno dalla pubblicazione. Meno incisivo dal vivo il nuovo singolo “Last Night In The City” (su disco in duetto con Kiesza) che con la sua virata electro necessita di maggior ascolto in video e in radio per fare vera presa sull’audience. Attendiamo la release ufficiale per capire che destino avrà questo brano che potenzialmente potrebbe suscitare entusiasmi maggiori.
Pochi i riferimenti all’ultima parte della carriera della band (“Sunrise” in medley con “New Moon On Monday”, il sole e la luna dei Duran si potrebbe dire) e la delicata ballad dell’ultimo disco “What Are The Chances”, che vede in origine l’intervento alla chitarra di John Frusciante, riprodotto quasi fedelmente dal turnista Brown.
Per il resto grandi ricordi da ovazione (“Notorious”, “The Reflex”, un leggero remix-intro per “Girls On Film”) e un ripescaggio eccellente come “I Don’t Want Your Love”, il primo singolo dei Duran Duran che strizzava l’orecchio nel 1988 al nascente movimento house music.
A Verona Nick Rhodes ha avuto anche una sorpresa sul palco: il tenore Matteo Zenatti è stato chiamato onstage a sua insaputa dagli altri colleghi del gruppo per cantargli Happy Birthday, visto che i Duran si esibivano all’arena cittadina proprio nel giorno del suo compleanno. «In effetti se dovessi scegliere – ci ha detto Nick – Verona è stato il mio show preferito. E non solo per la sorpresa. Il tenore è stato davvero simpatico, mi è piaciuto molto, ma avevamo paura che la pioggia incessante portasse dei fulmini che potevano farci smettere di suonare da un momento all’altro». Beh, sarebbe stato un momento molto gotico, gli abbiamo riferito. «Sì, alla fine c’è stato davvero un momento da ricordare». Che si riferisse alla passerella sotto il temporale che hanno voluto fare davanti all’entusiasta platea transgenerazionale che li ha accolti?