Max Pezzali ha una teoria: “Il pop italiano cambia ogni volta che c’è qualcosa di deflagrante che rompe le regole. E quindi da inopportuno e fuori luogo all’improvviso diventi un precedente che tutti seguono”. A lui è successo nei primi anni 90 con gli 883. E sta per succedere anche adesso, con Due Anime, il singolo che lancia la riedizione di Astronave Max, il disco uscito l’anno scorso. Quello che esce nei negozi si chiama Astronave Max New Mission 2016 e contiene i brani del 2015 con l’aggiunta di due pezzi inediti e un live cd con i vecchi successi suonati al Forum di Assago.
Max, cosa c’è di nuovo in Due Anime?
«L’ho scritta con Niccolò Contessa de I Cani, un gruppo che mi era stato segnalato perché tempo fa faceva delle cover electro punk di miei pezzi. Ho cercato il loro manager, ci siamo incontrati a dei concerti, abbiamo iniziato a frequentarci. Niccolò è un nerd come me, uno che cerca di cambiare le prospettive di scrittura».
La canzone è molto inusuale per te. Come è nata?
«Avevo mandato una base, a volte quando si scrive la memoria muscolare ti porta a toccare stessi tasti e stesse progressioni. Mi dava fastidio questa ripetitività. Così su suggerimento di Pierpaolo Peroni ho mandato il pezzo a Niccolò e mi è tornato con pochi interventi di metrica e di testo e subito sembrava diverso. Quando ha osato scrivere “Vi è capitato mai” al posto di “Ti è capitato mai” è come se per la prima volta in una ballad io guardassi in camera. Non mi era mai successo».
L’altro inedito è Non Lo So scritto con Zibba.
«Sì, quello doveva andare sul disco l’anno scorso ma avrebbe slittato tutto di 15 giorni e per non creare problemi al marketing è rimasto fermo un anno. Zibba ha scritto la melodia e me l’ha cantata su un messaggio vocale. Il prossimo album voglio che sia così, che abbia un punto di vista vario».
Che posto hai nella musica italiana secondo te?
«Beh, devo stare ancora attento a non gridare troppo il mio apprezzamento per artisti indipendenti perché potrebbe nuocere a loro. Sono visto come pop, ma la nostra rivoluzione l’abbiamo fatta quando siamo usciti, io e Mauro Repetto, e tutti ci dicevano: non fatelo, dovete avere gli archi, l’apertura sanremese nel ritornello. E io pensavo: ma allora Bob Dylan è tutto da buttare? Basta uno che infranga la regola e ha successo, tutti seguono. È successo agli 883, ai rapper, che ora stanno lasciando il passo a un pop che è diventato troppo di maniera. E quindi si ribella».
Tu come sei cambiato in oltre 20 anni di carriera?
«Sono nato incendiario, son diventato pompiere e ora ho la voglia senile di far casino di nuovo. Se non trovi brivido in questo mestiere, meglio smettere a 50 anni».
Il 29 giugno parte un nuovo tour da Roma. Modernizzi i vecchi pezzi dal vivo?
«Quando la canzone è fatta non c’è verso di cambiarla, è passata in giudicato. Puoi suonarla meglio, puoi ascoltare il chitarrista che ti dice no, quel suono non te lo faccio perché è datato. Ma Sei Un Mito deveiniziare con quel suono, è la sua identità».
Cosa è più importante oggi: la voce, il sound, la tecnologia?
«Nella musica conta sempre di più il producer, il lavoro di squadra. Si va oltre la voce e la scrittura, pensa a quanti pezzi che si sentono oggi potrebbero suonare gli stessi solo con chitarra e voce. Conta il sound, specie nella musica che arriva dall’estero».
Cosa ti porterai dietro l’esperienza di The Voice?
«Prima di tutto ho un debito con Claudio Cera, che probabilmente suonerà con me a Roma. L’ho dovuto sacrificare perché non sempre chi ha voce migliore può andare avanti. So che il pubblico ha protestato ma bisogna essere convinti di avere un repertorio pronto e l’appoggio della casa discografica al momento giusto, altrimenti la bravura non basta. E poi mi ricorderò per sempre l’incontro con Giorgio Moroder. Gli ho detto, dandogli del voi o del lei, non ricordo, ero in pallone: maestro, lei per me è meglio di Dio. E lui: macché, tu Max, sei uno dei più forti in tv. Ti rendi conto, Moroder che conosce il mio nome».
Come pensi di continuare a scrivere cose interessanti?
«La difficoltà maggiore è andare avanti scongiurando il rischio di annoiare, la paura di tornare su terreni già battuti è sempre in agguato. Siamo tutti figli della nostra adolescenza, lì si formano i tuoi gusti e i tuoi riferimenti, quindi torni inevitabilmente a quello. Gli argomenti sono difficili quando fai l’autore da anni. Il quotidiano della canzone pop è di difficile trattazione perché devi inventarti qualcosa, per dire, i rapper fanno bene la scrittura della quotidianità perché ne hanno una sicuramente più interessante della mia».
Quindi meglio parlare di amore e basta?
«Ma l’ambizione che ho è di usare la realtà e l’amore come ariete per far girare tutto. Usare l’amore come pretesto può funzionarte, specie per chi ha raggiunto la mia età. Due Anime usa questo pretesto, con la scusa dell’amore parla della vita di tutti i giorni. La canzone ideale per me è un pezzo d’amore che perà parla di altro. Il gioco divertente per chi fa il mio lavoro è questo».