A pochi giorni dall’uscita del suo nuovo singolo “Adele”, contenuto nel suo album “10 minuti” facciamo quattro chiacchiere con il cantautore emiliano Manuel Rinaldi.
Manuel hai come modelli di riferimento artisti come Vasco, Rino Gaetano, Franco Battiato che tu ami definire fuori dagli schemi ed io oserei definire geni, cosa ti piace in loro e cosa hai “rubato” da loro per diventare l’artista che sei?
«Loro sono riusciti a crearsi un modo di comunicare con la musica tutto loro. Hanno abbandonato quei cliché che per troppo tempo hanno contaminato la musica italiana, trovando una maniera di comunicare così originale da essere poi diventati dei miti e dei geni, imitati e ascoltati da differenti generazioni. Probabilmente di questo mi sono impossessato, cioè la capacità di comunicare a mio modo, dicendo sempre quello che ho voglia di dire e cercare sempre di fare quello che ho voglia di fare.»
Hai cominciato molto giovane a suonare la chitarra che poi non hai più lasciato, come ami definirti come artista?
«Un cantautore rock».
Ci parli del tuo periodo artistico con i Pupilla?
«I Pupilla nascono nel 2009 da un’idea mia e di un amico (Fabrizio Freddi). Dopo qualche anno di “gavetta” come cover band in cui riproponevamo brani rock rivisitati in una chiave tutta nostra, arriva il contratto discografico con EMI per 2 singoli e un videoclip. Da li inizia una seria di live promozionali e tour radio che ci ha visti protagonista in diverse situazioni nel nord Italia, tra cui un concerto all’Alcatraz di Milano. Eravamo giovani e sfacciati e anche un po’ inesperti e nel 2003 la band si scioglie lasciando inizialmente cadere le speranze di una carriera da musicista. E’ stato un duro colpo perché in quel progetto avevo riposto gran parte della mia vita, anche perché ero io l’autore e il compositore dei brani originali. A quel punto ho deciso di andarmene per la mia strada e di “fare tutto da solo”…e ho fatto bene, eccomi qua con il mio primo lavoro discografico completamente mio!»
Nel 2007 hai lavorato con Gianni Bella a un brano con il quale hai partecipato a Accademia di Sanremo, che tipo di esperienza è stata?
«Gianni è un’artista eccezionale e anche un “grande uomo”. Per quanto riguarda l’Accademia, è stato piacevole trascorrere momenti con decine di artisti delle più svariate età, condividere le giornate e le serate parlando di musica. E’ stata un’esperienza di cui faccio tesoro, ma nulla di più di quello che ci si potrebbe aspettare.»
Cosa pensi delle ultime edizioni del Festival di Sanremo?
«Onestamente non amo la televisione e cerco di guardarla il meno possibile. Le ultime edizioni non le ho seguite molto, tranne qualche momento per essere al corrente di quello che stava accadendo e per coltivare una minima speranza: “…forse in questa edizione cambierà qualcosa”…tranne qualche spruzzata di ringiovanimento, il resto la solita minestra…e anche riscaldata più volte.»
In televisione trionfano i talent show, pensi che siano una cosa positiva o negativa per i giovani che vogliono fare carriera?
«I talent che?? I giovani che vogliono fare carriera dovrebbero stare lontani da certe cose. Quei programmi non sono la realtà, dei bluff camuffati a dovere dove chi vince forse ha la strada spianata verso il successo. Artisti che sono carne da macello dati in pasto a un format televisivo che ha parti, tempi e copioni da seguire…no grazie, credo ancora nel trovarsi in uno scantinato con uno strumento, passare le ore consumandoci la vita e la passione, sono per i live nei locali, nei viaggi con le macchine cariche di amplificatori, sono per i brani originali, sono per chi ha qualcosa da dire e non di chi scopiazza qua e là.I talent? Uno show di interpreti che cantano cover, contornati da uno spettacolo gestito da qualche giudice che ha più visibilità degli artisti stessi. Talent show? No grazie.»
Sei stato diversi anni in Inghilterra, sei tornato “contaminato” dallo stile musicale inglese?
«L’Inghilterra la considero ancora la mia seconda casa perché ho trovato in quel paese un’ambiente che mi ha “contaminato” sia in stile, sia dal punto di vista artistico. Ho sempre adorato gli artisti che provenivano dall’oltre manica, credo che riescano sempre a “tirare fuori” qualcosa di innovativo. Il rock viene da lì e fin da piccolo ne sono stato sicuramente influenzato.»
Veniamo al tuo ultimo singolo “Adele”: dici che è nato in pochi minuti però entra nella testa come un tormentone. Sei riuscito a fare un brano che arriva diretto al cuore con la giusta dose di energia. Ci parli del tuo brano?
«Un giorno il mio caro amico Stefano Leonardi, che ha collaborato in diversi testi del disco, mi manda una mail con il titolo: “Adele”. Da lì ho letto quel testo che mi sembrava geniale, aveva dei passi con delle frasi così dirette e piene di contenuti che mi sono messo a comporre subito la musica. Ho preso la mia chitarra e ho cominciato a suonare cantandoci sopra quel testo. E’ venuta fuori in 10 minuti, da sola, non aveva bisogno di correzioni, era già pronta forse ancor prima che fosse stata scritta. Adele è la figlia di 2 anni di Stefano e il testo rispecchia le parole che un padre le rivolge parlandole della vita e di come fare a superare le situazione quando si presenteranno, di come lui sia ammagliato dalla suo presenza e di come la felicità e i sogni siano sempre a portata di mano.»
Provocazione e ironia caratterizzano il tuo disco di esordio “10 minuti”, che contiene anche il brano “Adele”. Ti sei lasciato ispirare molto dalla vita quotidiana facendo anche una ricerca nel lato nascosto delle persone, perché questa scelta?
«Perché avevo voglia di dire qualcosa di più del solito :”…lei mi ha lasciato, io sto male, non sarà mai più come prima..” ecc, ecc…sentivo la necessità di andare più nel profondo, cercando di fare arrivare i concetti alla mia maniera, con le parole che uso tutti i giorni, o con il modo diretto che userei per mandare qualcuno “a quel paese”. Non so se ho reso l’idea?»
Cosa farai “da grande”?
«Quello che sto facendo, spero fino ai miei ultimi giorni.»