Costellazioni Amleto è una riformulazione sarcastica e leggera del dramma shakespeariano ed andrà in scena al Piccolo Bellini di Napoli, dal 23 al 28 febbraio. Da una magma di elementi che appartengono ad un testo altro, nasce l’idea di Giovanni del Prete e Carmen Pommella. Una rivisitazione della tragedia più conosciuta e citata che catapultata ai tempi 2.0. Amleto ai nostri giorni, sarà alle prese con la terapia psicanalitica e l’obiettivo di superare i disagi sorti dall’incapacità di elaborare con equilibrio, la morte del padre. Tra sospensioni ed avvicendamenti energici lo spettacolo si conclude con un finale inaspettato. A costituire il cast, gli attori: Adriano Falivene, Carmen Pommella, Orazio Cerino, Antonio Vitale, Francesca Iovine, Ettore Nigro. Alle luci Marco Ghidelli, assistente alla regia Sandra Caraglia.
Noi abbiamo incontrato il regista, nonché autore del testo, Giovanni Del Prete.
Partiamo da te, quando Giovanni del Prete ha incontrato il teatro?
Come tante volte accade, tra i banchi di scuola, al liceo. Ho conseguito studi affini, laureandomi in Conservazione dei Beni Culturali, fino ad una seconda laurea in Lettere Moderne. Due elementi essenziali per partire verso la costruzione in teatro. Nel 2000 sono giunto ad un primo laboratorio, l’Elicantropo, avendo la fortuna di far parte della prima classe di questo progetto. Mi sono poi avvicinato ad esperienze che hanno formato il mio background, come quelle con Giuseppe Battiston ed Andrea de Rosa, fino ad arrivare a spettacoli miei, quali Janara e ‘Mbriana. Due contenuti paralleli, che sondano l’animo umano. La Janara è una donna considerata rappresentativa del male, la quale, conscia di questa valutazione, rende visibile ogni forma di negatività, insita invece, in ognuno di noi. La ‘Mbriana è una donna avvolgente, lo spirito della casa, il focolare domestico. Una figura che però assorbe ogni stato d’animo del mondo circostante. Poi è stata la volta di Girls, un recital incentrato sulla categoria delle “Pussy Riot”. Nel 2015 è arrivato Kronos, che abbiamo presentato al Fringe, Napoli TeatroFestival. Un soggetto teatrale, che sonda i rapporti familiari disorientati, gestiti superficialmente nel tempo in cui viviamo, legami che definirei “sgarrupati”.
Costellazioni Amleto rappresenta il rifacimento in chiave moderna del dramma shakespeariano. Qual è stato il motivo ispiratore?
E’ nato per caso, da un’esternazione di Carmen Pommella, la quale un pomeriggio propose l’idea. La mia reazione è stata scettica. L’Amleto è una tragedia già “fatta e rifatta”, ma quando Carmen, ha ipotizzato la chiave della contemporaneità, il rapporto gioco-psicologia, mi sono messo a studiare l’ipotetica rivalutazione. Ho trovato così nella strada della psicanalisi in forma ironica e leggera, la lampadina di genio. Il simbolismo che voglio trasferire con Costellazioni Amleto, diventa quello dell’incapacità di molti di noi giovani, di non riconoscere la nostra vita dal di fuori. Questo accade in una società che non ci offre la possibilità di fermarci a guardare cosa succede nella nostra vita, perché la stiamo vivendo. La soluzione arriva con la costellazione, ovvero una sorta di pratica alternativa, messa in atto nella psicoterapia. Una specie di teatro dramma, dove il costellato, da l’indicazione a tutti, di chi sia ogni partecipante. Da quel momento in poi, per l’energia che si crea, lui vede tutto lo svolgimento dei rapporti familiari. Un punto strategico di riuscire a vedere dal di fuori, il film della propria vita. Ed è esattamente quello che ho scelto di mettere in atto con Costellazioni Amleto. Il risultato che ne è venuto fuori è una sovrapposizione, dove i parallelismi troveranno un punto di incontro, in cui il tempo ed il luogo si scardinano così in Costellazioni, come nell’Amleto. Il messaggio finale, diventa quello del cambiamento, della capacità di essere qualcos’altro di diverso da noi. Una formulazione quella che proponiamo, innovativa ed essenziale, una scenografia quasi assente, dove tutto è il contrario di tutto. La diversità degli oggetti sarà la trasposizione del significato della diversità, che caratterizza ognuno di noi.
Tra gli influssi teatrali, c’è qualcuno, un elemento in particolare a cui ti senti intimamente legato?
Parto dall’amore per gli studi di Roberto De Simone. Attraverso il suo influsso ho capito che mi interessava l’uomo, il suo modo di agire, perché è diretto verso determinate cose. Dall’esperienza con L’Elicantropo ho fatto invece mia la considerazione del rapporto tra l’uomo, il sé e la società. Con Andrea De Rosa, ho appreso lo sviluppo del legame tra il regista ed il testo. La sua necessità di uccidere l’autore del testo. Essendo io anche autore dei contenuti teatrali, riesco poi a far convivere un equilibrio tra entrambi. Una dinamica intrinseca, che solo noi riusciamo a spiegarci. Infine la consapevolezza della sospensione, il non detto ed il suo ampio valore teatralmente. Un elemento presente dentro di me, probabilmente già dapprima del mio percorso con Andrea De Rosa.