Napoli rinnova il suo splendore artistico e culturale con un incontro di ampio spessore. Si è tenuta giovedì 18 giugno presso una delle sale del Palazzo delle Arti di Napoli, la presentazione del vibrante reportage fotografico di Valerio Bispuri, rinomato fotoreporter romano, che con Encerrados (Chiusi a chiave), ha portato in scena un ‘eccellenza visiva, l’ardore fotografico oltre ogni possibile accezione. Valerio Bispuri, ha incontrato la nostra città per diffondere con Encerrados un lavoro di indubbio fascino internazionale, un’opera d’arte che scuote l’anima, un lavoro compiuto in 10 anni, il risultato di un coraggioso ed arduo percorso che mostra vite spezzate, oppresse, punite…vite abbandonate, violentate di ogni libertà.
Settantaquattro sono le carceri del Sudamerica in cui ha “messo piede” Valerio Bispuri, fotografando una condizione deprivata di ogni forma di “realtà”, immagini specchio di un segmento sociale di cui i detenuti ne rappresentano, esclusivamente un campione dimostrativo.Encerrados non è un libro sulle carceri bensì sulla libertà, sulla sua condizione di privazione. Luoghi non luoghi, dove Bispuri, ha puntato dritto l’obiettivo, con l’intento viscerale di voler costruire una testimonianza, smuovendo un sentimento empatico, nei confronti di una fetta di popolazione emarginata, che non si colloca in nessuno spazio…invisibile…ma che in essenza non rappresenta null’altro che un sé, ìnsito in ognuno di noi. Attraverso Il fotoreportage di Valerio Bispuri, la fotografia diventa capace di stimolare le coscienze, smuovere una condizione; Un prodotto di eccellente valore socio-antropologico è dunque Encerrados, una raccolta di immagini che mostrano “sentendo”, entrando dentro. Con Encerrados, Valerio Bispuri spinge a farci riflettere, a denunciare una condizione di disumanità , portando alla luce l’impercettibilità violenta, il pericolo delle celle del Sudamerica, incanalando la strada di un cambiamento istituzionale e dunque, umano! L’occasione partenopea ci ha dato l’opportunità di incontrare Valerio Bispuri, con il quale abbiamo raccolto, attraverso la sua sensibile motivazione, i contenuti essenziali di Encerrados.
Valerio, Encerrados è il risultato di un lavoro che descrive la condizione carceraria dell’intero continente Sudamericano; hai pensato di “svelare” una testimonianza anche in quelle italiane?
«Certamente che mi piacerebbe, ma ci sono molte regole, permessi da dover ottenere. Eppure a seguito dell’incontro di questi giorni presso il Carcere di Poggioreale, il direttore pare si sia esposto nel volermi offrire la possibilità di entrare e lavorare….vedremo un po’ pertanto…cosa accadrà.»
Più volte hai indicato che la condizione delle carceri riflette lo specchio di un paese. Ti riferisci ovviamente non solo alla condizione dei detenuti ma anche e soprattutto, alla gestione delle istituzioni. Quali pensi siano le differenze tra le “celle” in Italia e quelle in Sudamerica?
«In Italia trovo ci siano più regole; come nella società, così anche nelle carceri, tutto è ampiamente strutturato. Questo elemento, può essere considerato il principale movente di depressione e di conseguenza, del più alto tasso di suicidi nelle prigioni italiane versus quelle sudamericane, dove invece incontriamo un’elevata mancanza di regole.»
Tra la miriade di scatti di Encerrados, trovi ce ne sia uno che in particolare ti ha segnato l’anima, oppure ritieni sia una scelta difficile, impossibile da indicare?
«Sceglierne una è davvero difficile, sono tante le scene divenute scatti che mi hanno profondamente colpito. In particolare però ,resta irremovibile dal pensiero, l’immagine dei detenuti dietro le sbarre, con gli occhi disarmanti…quei volti mi hanno davvero travolto. Espressioni forti, dure, incancellabili.»
All’inizio del percorso che ti ha portato a realizzare Encerrados hai avuto grande coraggio; C’è mai stato però un momento in cui hai avuto anche paura? La spinta a tirarti indietro?
«No, non ho mai pensato di fare marcia indietro e più che la paura l’elemento che ha caratterizzato questo “viaggio” è stato l’incoscienza. Del resto per essere fotoreporter, in questo modo, per voler descrivere una realtà da denunciare, da smascherare, bisogna necessariamente possedere tale denominatore.»
Nell’ascoltarti indicare il concetto di fotografia, più volte utilizzi il termine “entrare”. Che cosa intendi specificamente?
«Mi riferisco all’idea di entrare nel racconto, in quello che si vuole raccontare…la fotografia siamo noi, la nostra anima, le nostre emozioni che riproduciamo nella realtà.»
C’è un nuovo lavoro in dirittura d’arrivo?
«Beh si, è appena giunto al termine Paco, un lavoro ancor più esteso di Encerrados. Un racconto che porto avanti da sempre su questa droga, Paco, da cui il progetto prende per l’appunto, il nome. Un reportage finalizzato a raccontare la diffusione della cocaina, il processo di espansione di droga nell’intero Sudamerica. Uno stupefacente dal basso costo, prodotto con i residui della cocaina e quindi di facile acquisto, che ha ucciso negli anni, per questo suo facile accesso, migliaia di ragazzini. Una sostanza nata in Argentina nel 2001 e che poi si è espansa in breve lasso di tempo; Micidiale, che pochi conoscono in Italia. Spero quindi che anche Paco diventi un libro, con l’intento di raccontare un’altra realtà difficile, dura, che uccide e che purtroppo esiste.»