Lo scorso 20 novembre 2015 il gruppo bolognese Zois ha debuttato con l’omonimo album. Quasi tutte le testate hanno già parlato della collaborazione dei musicisti con il grandissimo artista Mango, motivo per cui ho scelto di evitare completamente la domanda e dedicarmi all’essenza musicale di questo gruppo che ha la base un concetto semplice quanto difficile da portare avanti: la completa e assoluta libertà.
Come mai avete scelto questo nome sia per il vostro gruppo che per il vostro primo disco?
«Zois è una parola che deriva dal greco, vuol dire “vita”. Tutto, fin da quando ci siamo conosciuti, è ruotato intorno alla creazione, soprattutto poi il nostro primo album. Da una vita nascono poi sempre altre vite insomma… il senso potrebbe essere riassunto semplicemente così.»
Il vostro debutto discografico riassume una piccola vita di ricerca musicale, mi sbaglio?
«No, affatto, anzi siamo felici si avverta questa ennesima vita nel nostro album. Abbiamo lavorato minuziosamente sulla ricerca del nostro sound che alla fine se volessimo definirlo diciamo che siamo a metà tra l’acustico e l’elettronico.»
Sapete anche di aver fatto scelte per nulla commerciali e che sarà una strada tutta in salita?
«Assolutamente: siamo perfettamente consapevoli delle nostre scelte musicali, ma a noi non interessava scegliere un genere che si adattasse al mercato discografico, noi vogliamo solo godere della nostra libertà.
Questo è ciò che siamo: musicisti liberi ed estranei a qualsiasi logica commerciale.»
Come sta rispondendo il pubblico a questa vita indipendente che gli presentate?
«Stiamo ricevendo risposte molto positive e questo ci fa capire che la gente apprezza la diversità. Riceviamo messaggi e complimenti per cui questo ci fa continuare a percorrere la strada che abbiamo scelto con più forza e determinazione.»
Avete già in programma un nuovo lavoro?
«Si, ci stiamo anche già lavorando. Non potevamo esordire con un doppio disco e quindi molti brani sono rimasti fuori al punto da farci comunque già pensare a un secondo lavoro che sarà anche diverso da questo nella ricerca musicale di cui parlavamo prima.»
Come lavorate nelle composizioni tutti insieme?
«Facciamo dei grandi viaggi in sala innanzitutto. Ci perdiamo nelle condivisioni e immaginiamo veri e propri luoghi che poi trasformiamo in note. Tutto ciò ovviamente è possibile in quanto c’è una grande empatia artistica e umana. Penso che dovrebbero inventare un nuovo termine per chi ha la fortuna di lavorare e suonare uguale o superiore alla nostra: la musicizia!»