L’incontro alla Feltrinelli di Napoli tra il creativo folle Stefano Benni e Fausto Mesolella – il musicista che fa cantare la sua chitarra – è stato decisamente da annali. Da sempre Stefano Benni ci ha abituato alla meravigliosa creatura che è lui. Alla presentazione del suo libro, “Cari Mostri” (Feltrinelli editore), ha voluto la presenza di Fausto Mesolella degli Avion Travel, che si è esibito con alcuni brani da CantoStefano, cd uscito per l’etichetta Suoni dall’Italia di Mariella Nava, il suo primo album in veste di cantante o “dicitor cantante” come ama definirsi, per festeggiare cinquant’anni d’amore, quelli tra lui e la chitarra.
«Mostro, racconta Stefano Benni, non viene da mostrare, come sostiene qualcuno, ma da monito, che vuol dire segno, prodigio, quindi, il mostro è qualcosa che, per gli antichi ma anche per noi, arriva al cielo e in qualche modo rompe l’involucro della nostra normalità. È un segno che dobbiamo interpretare, può essere un segno funesto o un nemico o una minaccia, ma può anche essere un segno di trasformazione. Non si sa mai fino in fondo, continua Benni, perché si scrive un libro, magari si riesce a capirlo dieci anni dopo. Adesso capisco perché ho scritto certi libri, però uno o due motivi credo di averli trovati, volevo fare qualcosa sulla crudeltà, non in modo annichilente, ma come si può reagire ad essa. Sono stufo di sentirmi dire da altri di cosa devo aver paura. Tutti i giorni, dalla televisione o da internet o anche dagli amici, qualcuno ti fa vedere qualcosa di crudelissimo, di efferato, ti dice, quelli sono i nemici, i mostri, perché non hanno il tuo colore di pelle o non hanno la tua nazionalità o sono di sesso diverso.»
Così Stefano Benni inizia la presentazione del suo libro, Cari mostri, in cui ci sono diversi racconti sui mostri dei giorni nostri, quelli che hai accanto e di cui quotidianamente devi sfuggire. Sulla copertina del libro una bellissima illustrazione di Luca Ralli.
«Attraversando il bosco della paura siamo più forti, continua ancora Benni, siamo coraggiosi, e possiamo anche aiutare. Quando vediamo un mostro, quindi, dimentichiamo se qualcuno ci ha detto che è un mostro. Impariamo dai bambini, si apre la porta, entra il mostro, il bambino gli da la mano, Ciao faccia da culo, e, posso decidere se questo è un mostro buono o cattivo, magari non è venuto per farmi del male anche se è diverso, è venuto in amicizia, forse è più spaventato lui di noi, oppure, può essere benissimo un mostro che è venuto per minacciarci e farci del male, dobbiamo affrontarlo e combatterlo per difendere anche le persone a cui vogliamo bene, possiamo venire anche sconfitti, però, basta coi mostri che, qualcuno, per racimolare voti li indica come mostri, le nostre paure ce le scegliamo da noi».
Stefano Benni diventa anche lui crudele smascherando quei mostri che accettiamo in tutta la nostra vita senza metterli in discussione, in alcuni racconti ci sono esempi e linee meravigliose, di vivido trasporto, Benni sente la necessità di suscitare, con mostruosi urti di stimolare tanto se stesso quanto i suoi lettori.
«Ci sono molti racconti nel libro diversi crudeli, altri fanno paura – continua Stefano Benni nella sua chiacchierata con il pubblico accorso alla Feltrinelli di Napoli – vi leggo un racconto comico, si può anche ridere, non tanto, dove ci sono dei mostri. C’è un trucco, però, il mostro non è quello che sembra al primo momento, questo racconto qualcuno capisce chi è il personaggio dopo quattro righe, alcuni dopo venti, altri solo alla fine. Se qualcuno non lo capisce, dopo viene con me che gli do delle medicine».
E, rivolgendosi a Fausto Mesolella gli chiede di introdurre la sua lettura con uno dei temi più paurosi scritti per una colonna sonora, un. E Mesolella inizia a suonare “Il tema della Pantera Rosa di Henry Mancini” introducendo così il racconto che si chiama: Povero Nos.
Un racconto molto crudo ed esilarante, le cosiddette amare verità in questo Povero Nos, e Stefano Benni introduce un altro mostro, Fausto Mesolella: «Ecco qui un mostro, nel senso di prodigio, qualcosa di assolutamente inatteso arrivata nella mia vita, e sono state poche, come mio figlio e qualche amore. Poi, improvvisamente, un giorno, conosco un chitarrista che assomiglia un po’ a Totò, e mi dice, facciamo qualcosa insieme?!? (con tono napoletano). E, questo mostro di cui avevo un po’ sospetto, perché i musicisti sono parecchio ma parecchio pazzi, egoici, quasi più degli scrittori, se la tirano, invece, poi, abbiamo fatto tanti spettacoli insieme. E questo mostro un giorno ha preso i miei testi, alcune poesie, e, ha deciso di musicarli e cantarli, e ha fatto un disco che si chiama Canto Stefano, il risultato è stato un cd di cui parlano tutti anche troppo bene secondo me.»
In questo incontro Mesollella ha cantato tre brani, il primo è Van Gogh, che Stefano Benni dice, “dedicato a un mio fidanzato olandese”, tra le perplessità e gli sguardi strani che il pubblico si scambiava. Il secondo brano, Quello che non voglio scritto da Stefano Benni per Fabrizio De André, “una denuncia morale che tutti gli artisti dovrebbero portare nella tasca della giacca”, dice Fausto. «La storia di questa canzone, introduce Benni, parla di un’amicizia, io ho avuto alcuni amici tra gli artisti, tra i quali Fabrizio De Andrè, non è un mistero, lo dico sempre, anche se, magari, ci siamo visti meno di quanto volevamo, perché io ero intimidito, lui era pigro. Questa canzone la scrissi per lui che aveva già cominciato a musicarla, però, poi, fu chiamato al più alto compito, ci lasciò, e, questo testo era rimasto praticamente senza musica, l’ha preso Fausto, lo ha musicato, così questa canzone per Fabrizio è diventata qualcosa non solo per Fabrizio, ma per tutti.»
La terza e ultima canzone, scritta da Stefano Benni proprio per Fausto Mesolella si chiama L’insanguinata, che altri non è che l’amore di Mesolella, la sua chitarra: C’aggià fa, c’aggià nun te pozzo scurdà… pecchè scurdata nun te pozzo sunà.
L’incontro con Stefano e Fausto si conclude con le domande del pubblico, e Stefano dice: «Io non so se tornerò a Napoli, perché sono vecchio, quindi, se dobbiamo parlare di paure, parliamo anche di questo. Vi racconterò un aneddoto se voi mi promettete dopo di fare una domanda. Sono vecchio e cominciano a fare le tesi su di me, e, a mettermi nelle antologie, per metà mi fa molto piacere, però vuole dire che ti hanno messo già in un viale di cipressi. Allora, una studentessa tedesca, molto simpatica, una volta mi scrisse, io voglio fare una tesi su di lei, signor Benni, perché lei è momentaneamente vivo. E, io, gli risposi, signorina lei ha assolutamente ragione, però forse lei non conosce bene la lingua italiana, ma le ricordo che, anche lei, è momentaneamente viva, con possibilità di andare avanti. Poi ripensai, magia della parola, le parole che brillano, questa signorina tedesca, che, poi, si dispiacque, sbagliando cambiando un po’ la rifrazione di una parola, ha detto una verità filosofica grandiosa, che io non avrei mai trovato. Signori siamo tutti momentaneamente vivi.»