In uscita dal 4 dicembre 2015 il nuovo album “Outside is my side” di Folco Orselli, cantautore milanese in coproduzione con Gino & Michele. Il cantante così spiega l’idea del progetto:«Essere outsider, per me, significa essere in compagnia di chi ha scelto di rimanere fedele a un proprio ideale di bellezza, ponendosi in alternativa all’establishment per essere libero di proseguire in quella ricerca che gli sarebbe forse preclusa se si facesse integrare nel grande gioco».
“Outside is my side”, il tuo ultimo album, cosa ha di differente dai precedenti lavori?
«Probabilmente è il disco in cui l’opera di realismo e di introspezione è stata fatta più approfondita. Mi sono tolto un po’ di maschere (utilissime per la forma canzone teatrale che ho per tanto percorso) e ho realizzato, dal punto di vista testuale, il disco più sincero della mia carriera. Musicalmente parlando credo sia un compendio sulle mie curiosità. Poi c’è il messaggio dietro al titolo che è anch’esso una novità di impegno. Non che non l’abbia fatto in precedenza ma qui gli ho dato il proscenio. Significa: “ Ho deciso da che parte stare, si si esattamente quella in cui vorreste che stia ma, di questi tempi, credo di essere in grande compagnia di una grande parte di popolazione che si è stufata del menù mainstream/insider che, tra l’altro, comincia ad essere insipido ripetitivo oltre che artisticamente arido: fuori è il mio posto!”»
Questo è il tuo primo album in collaborazione con Gino&Michele?
«Si, un’affinità elettiva milanese, una amicizia stimata che mi ha portato a realizzare le musiche per il loro spettacolo ( sono in scena con Enzo Messina co-produttore artistico del disco) “Passati col rosso” in cui celebrano i loro quarant’anni di carriera e a chiedergli se volessero partecipare alla co-produzione del mio quinto disco. Sono stato a casa di Michele, gli ho fatto sentire i provini, ci siamo bevuti una bottiglia di prosecco e una settimana dopo abbiamo firmato. C’era anche Gino naturalmente.»
Legato ad un palo della luce è anche una metafora del sentirsi legato come in gabbia, ma anche metafora di te che vivi in questa città di Milano che come dici nella canzone non ti dà pace, qualè il tuo rapporto con questa città?
«Un rapporto…carnale, orale, materno, matrigne, patrigno, morboso, irrisolto, realizzato, prono, supino e supremo. Una bellissima donna con poco seno ma con…un gran culo! La corteggio da anni e continuerò a farlo; se la tira un po’ ma in fondo gli piaccio.»
Sei, a dire poco, poliedrico, quasi camaleontico per come riesci ad attraversare differenti stili musicali come il blues de Il lupo,canzone ironica e divertente contemporaneamente.
«Il blues è il mio condimento principale, se non avessi fatto il musicista avrei fatto il cuoco, applico agli stili che affronto questa attitudine, questo olio al piatto da cucinare, non importa che sia pesce, carne o un risotto ci metto il mio olio blues. Il lupo parte da una strage di lupi in Garfagnana di qualche tempo fa. Attaccavano qualche pecora e sono stati fatti fuori. Quanti animali abbiamo ucciso noi attraverso le nostre pratiche ambientali inquinanti? Ho dato parola al lupo, che ci prende anche un po’ per il culo.»
Cosa pensi dei talent show?
«Come format televisivi penso siano programmi di successo, per il resto: tutto il male possibile. Un mercato di “vacche” inconsapevoli che sforna cantanti e nessun cantautore tranne rarissime eccezioni, cantano tutti uguali e credono che qualcuno creda a quello che hanno da dire. Va bene per un pubblico di quattordicenni, poi è da minus habens. La mano lunga dell’ex discografia che ha mostrato il suo vero volto. Diseducativi.»
Che tipo di artista ti definisci?
Outsider.
Che rapporto hai con i social network?
«Li uso per far sapere quello che faccio. Poi credo che assolvano inconsciamente al bisogno di partecipazione della gente, che crede basti la partecipazione virtuale. I locali sono poco frequentati, gli spettacoli poco seguiti. Un’imballata che a mio avviso durerà ancora pochi anni poi verranno usati per quello che sono: degli strumenti, come il telefono, negli anni 70/80 si stava ore al telefono, poi la telefonia mobile, ora non si parla, si manda sms e si subisce contenuti, nella stragrande maggioranza, inutili. Finirà anche questo e si tornerà a parlare nei bar e nelle piazze.»