Affrontare temi come l’Islam ed il terrorismo, subito dopo i fatti di Parigi, non è facile, ma a M’Barka Ben Taleb il coraggio non manca. Nei suoi occhi traspare tutto il male della ferita e tutta la forza di chi non ci sta ed è disposta a fare qualcosa di importante.
Il suo sorriso è contagioso quando si presenta, ma quando entriamo nel vivo della conversazione e le chiedo un’opinione sulla strage al Bataclan, il suo viso si fa più scuro e la piccola pausa iniziale mi fa capire che la ferita è ancora viva.
“Da quando sono in Italia – spiega la cantante napo-tunisina – ho sentito ripetere spesso questo proverbio ‘chi semina vento, raccoglie tempesta’, credo descriva bene la situazione attuale. Il terrorismo dell’Isis non ha radici religiose, puoi chiederlo a chiunque conosca bene il Corano. Le origini di questa violenza vanno ricercate nella discriminazione, nell’esclusione sociale e soprattutto nelle guerre per il petrolio che si sono avute nel medio-oriente negli ultimi anni. I musulmani vengono dipinti come dei violenti, come chi vuole punire gli infedeli, ma la realtà dei fatti è ben altra. Il nostro saluto religioso è: ‘as-salām ‘alaykum’ che tradotto vuole dire ‘la pace sia con te’. Quindi questi che si macchiano di sangue non possono essere dei religiosi”.
La guerra di religione è oramai un mantra che sentiamo ripetere su tutti i media. La propaganda virale dell’Isis e le ragioni di chi non aspettava altro che utilizzare le proprie bombe propongono a tutti di trovare le radici del conflitto all’interno della geopolitica della religione. Difficile avere una nuova chiave di lettura, ma M’Barka ci invita ad aprire gli occhi: “Gli attentati dell’Isis sono stati fatti in gran parte nei paesi a maggioranza islamica. La Tunisia, mio paese di origine è stata vittima di due attacchi violentissimi. In Siria gli stessi massacrano altri musulmani, stesso discorso anche per l’Iraq. Ma tutti questi attacchi non vengono considerati come quello di Parigi, perché? Chi manovra il terrore islamico non vuole fare una guerra per la religione, ma per il potere, per i soldi. E’ una questione economica, non religiosa”.
Le domande che si pone una musulmana (non praticante -ci tiene a precisarlo) vanno anche aldilà della religione, sembra quasi un fiume in piena, non ho neanche bisogno di incalzarla, fa tutto da sola: “Io mi chiedo chi finanzia l’Isis? Io non lo so. Soprattutto mi chiedo come mai tutti puntano il dito contro gli islamici, ma continuano ad andare a Dubai ad investire il proprio denaro. Tutti dicono che il turismo europeo ne risentirà degli attentati, ma nessuno prova ad andare ad analizzare di quanto sono calate le prenotazioni in Egitto o in Tunisia, paesi che vivono di turismo. Allora perché pensiamo ad uno scontro religioso, quando l’Isis sta danneggiando in primis gli islamici?”
Quando si parla dei pregiudizi, l’artista partenopea d’adozione ci fa un esempio lampante: “Dire che i musulmani sono violenti o parteggiano per l’Isis è come dire che i napoletani sono tutti camorristi. Non è che se in un palazzo troviamo un delinquente allora per intervenire buttiamo giù tutto il palazzo, andiamo direttamente nel suo appartamento. Quindi io dico basta ai pregiudizi, basta con questo razzismo di ritorno. L’epoca della razza è finita, non esiste più la razza pura (anche se forse non è mai esistita nda) siamo tutti dei meticci”.
La cantante che ormai collabora stabilmente con John Turturro, dopo quasi trent’anni si sente una napoletana, anche se mi confessa che nessuno la riesce a vedere come una napoletana vera. Una discriminazione che va aldilà della religione, perché come è giusto che sia la vive in maniera molto privata. Le resistenze dei napoletani arrivano per le sue origini, viste da qualche nostalgico poco partenopee. Ma come tutti sanno Napoli è la città dell’accoglienza e della multiculturalità, quindi più napoletana di M’Barka c’è solo Maradona, ma solo per questioni religiose.
Il caffè con M’Barka finisce con un appello universale: “Basta con la violenza, pietà per i popoli musulmani e per il medio oriente. – Si prende una piccola pausa e poi continua – c’è bisogno di includere piuttosto che escludere, altrimenti è veramente finita. Più andiamo ad emarginare le persone e più diamo un contributo all’Isis, diamo fiducia al mondo e non ci sarà più il terrorismo. Quando sono arrivata in Italia non c’erano frontiere da varcare, quote da inseguire, eppure non è mai successo nulla. La vera sfida per combattere il terrorismo islamico è insegnare ai nostri figli il rispetto per la religione altrui ed essere pieni di valori civici, con questa cura possiamo vincere qualsiasi tripodi terrorismo”.
Andrea Luigi Mennitto