Fantastico (e anche istruttivo) notare che nell’epoca dell’immaterialità a vendere siano ancora le rotondità corporee, almeno nella pop culture. L’esibizione di Nicki Minaj all’Estathé Market Sound di Milano era il piatto forte del festival estivo in concomitanza con Expo e un motivo c’era.
Un popolo variegato e colorato di “follower” instancabili dell’icona black americana si è riversato ai Mercati Generali con devozione ed entusiasmo. Esplosi, manco a dirlo, appena la rapper mostrava, ancheggiava e mimava kamasutra all’acqua di rosa su Anaconda o Super Bass, due tra i maggiori hit riproposti nell’ora scarsa di esibizione.
Offuscando l’inevitabile delusione per lo scarno impianto scenico portato a Milano, la Minaj si è fatta perdonare il fashionably late (è salita sul palco dopo le 23) con uno show energetico e scanzonato, che quasi prende in giro la sua fisicità prorompente, esaltando la vena dance della sua produzione, quella più “queer” che porta tutti a ballare, saltare, divertirsi.
Nonostante lei si impegni a dire che “non bisogna mollare mai e credere in se stessi”.
Santona improvvisata o signora delle provocazioni tutte da vendere? Non crediamo che la questione sia stata vissuta con dilemma esistenziale dalla giovane audience che affollava la data italiana del suo Pinkprint Tour, in alcuni passaggi addirittura più coraggiosa della stessa protagonista. Solo due cambi d’abito, molta leva sul pre-registrato, e una patina glamour ostentata che mandava in visibilio i fashion victim. Perché ha questa presa anche da noi? Perché fondamentalmente c’è sempre bisogno di un Blonde Ambition per i ventenni di tutto il globo. E perché proprio essendo com’è, larger than life, la Minaj sembra dire a tutti i misfit che ce la possono fare. Trasformare il brutto in bello, o quantomeno, “ammirevole” è sempre stato il quid alla base dell’intrattenimento americano. E quindi ce la godremo così, senza pensare ai capricci che hanno preceduto questa sua seconda calata italica (niente interviste, solo un fotografo autorizzato da lei stessa), senza ricordare ossessivamente che parte della sua fortuna discografica è generata dagli astuti featuring.
Prodotto dei tempi e perfettamente a suo agio nella dittatura mediatica dei social network (“fatti la foto” grida all’incredulo ragazzo chiamato a rappare sul palco), Nicki Minaj il suo l’ha già fatto quando intona l’acclamata “Starships” dimostrando che viaggiando dall’urban alla dance non c’è pericolo di affondare. E soprattutto che una donna, giovane, black dentro e fuori, può colorare i sogni di una notte di un popolo di sostenitori impegnati a “postare” immagini e sensazioni. In nome di un solo obiettivo: la condivisione.
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