Reali Apparenze – il saggio breve di Vincenzo Peluso, scrittore e docente di Lettere – affronta l’eterno dualismo tra “essere” e “apparire”, e lo fa concentrandosi sul nostro tempo, un tempo in cui il rapporto dialettico tra realtà e apparenza sembra essersi risolto nel trionfo assoluto della forma sulla sostanza.
Peluso analizza la nostra società attraverso la figura del professor Solenghi, un docente precario alla ricerca di quella “verità” che, celata dal perbenismo e dalle ipocrisie, solo l’erasmiana follia è in grado di smascherare. Solenghi ci accompagna in una breve esplorazione della società odierna, priva di valori e bisognosa di recuperare l’ormai perduto legame con il passato.
Vincenzo Peluso con il suo “Reali Apparenze” ci costringe così a superare i filtri interposti tra noi e il reale, finanche a smascherare noi stessi – colpevoli di quest’era dominata dall’apparenza – e lo fa in un interessante e ironico scambio tra filosofia e letteratura.
La sua creatura – protagonista del saggio “Reali Apparenze” – il professore Paolo Solenghi, rappresenta per lei un particolare strumento d’interpretazione della realtà, così come per il suo personaggio lo è stato “L’elogio della pazzia” elaborato nel cinquecento dall’umanista Erasmo da Rotterdam. Entrambi docenti, entrambi fortemente spinti dal desiderio di analizzare l’eterno dualismo tra apparenza e realtà, forma e sostanza: quanto di se stesso ha proiettato nel suo personaggio?
«Ho proiettato molti aspetti della mia vita in Paolo Solenghi. Certo, se volessi sostenere che il protagonista sia il prototipo dell’autobiografismo, allora direi una bugia. In effetti ogni docente, precario e non, vorrebbe proiettarsi nel mondo immaginario delle innovazioni, del cambiamento radicale per trovare la soluzione giusta ai problemi. Sicuramente Paolo Solenghi rappresenta la svolta o almeno il tentativo di cambiamento in atto, mantenendo inalterato il fragile, sottile muro che divide l’essere dall’apparire.»
Il suo saggio rappresenta una profonda critica della società attuale, definita era dell’apparenza e di quelle nuove generazioni prive di valori e di legami con le tradizioni. Ritiene sia la cultura lo strumento fondamentale per risvegliarne le coscienze?
«Assolutamente. La cultura rappresenta il primo valore, tra quelli perduti, da rivalutare ad ogni costo. Questo perché la generazione attuale sfrutta la cultura a proprio piacimento senza prestare maggiore attenzione alle opportunità che la vita offre e segue spesso l’idea della massa senza alcun ripensamento.»
Nel suo saggio definisce la “follia” come una condizione di rischiaramento, smascheratrice d’inganni sociali in un’epoca di omologazione e superficialità. Solenghi sceglie di sperimentare quella follia erasmiana, isolandosi dalle persone che lo circondano – dalla sua famiglia – e rifuggendo dalla consuetudine. La “follia” rende quindi inevitabile l’isolamento? E’ questa l’unica chiave di accesso alla realtà?
«La follia oggi rende inevitabile l’isolamento per assoluta consapevolezza di essere l’unico individuo a combattere contro le apparenze delle persone. Non mi sento di definirla come unica chiave di accesso perché l’altra potrebbe essere la profonda riflessione sui contenuti delle cose e sulle idee che quotidianamente la nostra vita ci invita ad affrontare. Attraverso la componente riflessivo-didascalica si potrebbe tranquillamente accedere alla realtà assoluta senza servirsi della follia, mezzo che diventa importante per mascherare il proprio fine e renderlo anche piacevole in alcuni casi.»
La condizione di “precarietà” in cui è imprigionato il protagonista rappresenta – insieme al fine educativo – l’origine del suo “esperimento” tra apparenza e realtà. La condizione professionale del protagonista si identifica con una condizione della vita stessa?
«Il personaggio prova ad identificare la sua condizione con la vita stessa ma, ad un certo punto, è consapevole del suo isolamento. Per questo, pur desiderando una vita folle ricca di contenuti puri, non può allontanarsi dalle forme, dalla famiglia, dalle convenzioni sociali. Come una bella storia d’amore, la racconta agli altri per trovare un appoggio morale.»
“Reali Apparenze” è la sua seconda opera narrativa, pubblicata circa un anno dopo il suo esordio letterario “Ho Sonno” (2014, Leonida). E’ già al lavoro su un terzo capitolo?
«Il terzo lavoro lo vorrei realizzare servendomi di una maturità diversa. Sulla scia di questi due saggi, che rappresentano un pezzo della mia vita, è in progetto il terzo lavoro che però tratterà, sempre in chiave comico-sarcastica, la realtà sociale in un’ottica diversa. Ma questo non vorrei raccontarlo perché si scoprirebbero troppe informazioni che per ora è meglio lasciare occulte.»