Ricomincia da un titolo provocatorio Michele Bravi, vincitore di X Factor 2013 al suo secondo disco. Si chiama I Hate Music, è prevalentemente cantato in inglese ed esce per la sua nuova etichetta, Universal. Si è ricostruito un’immagine, il 20enne osannato due anni fa per la sua voce cristallina e intonazione pressochè perfetta. Ma oltre all’aspetto visivo, oggi c’è anche più freschezza nei suoni, più vivacità e ironia. Lo abbiamo incontrato per farci spiegare il suo cambiamento.
Cosa hai fatto per “rifondare” Michele Bravi?
«Sono ripartito dal web, con la scusa della mancanza di sostegno dei media tradizionali. Ho ritrovato il giusto dialogo col pubblico, mi faceva notare dei dettagli che non trovavo più. Quando ti metti a parlare coi ragazzi sul web, per un anno e mezzo, ritrovi l’autonomia del dialogo.»
E il titolo I Hate Music da che deriva?
«Odio la musica perché non ho saputo trovar il modo di amarla per un anno e mezzo. È stato un periodo difficile e delicato, mi sembrava giusto raccontarlo senza preoccuparsi delle conseguenze. In questo atteggiamento molto lo devo a chi mi ha fatto capire che dovevo dire le cose direttamente. Poi ho riscoperto la luce e il singolo The Days parla di questo.»
Se ti guardi indietro, come giudichi il recente passato?
«Uscire da un talent è bello ed è brutto, anche quando lo vinci. l non avevo carattere così forte da reggere le mie incertezze. Ora sono più scanzonato e forse anche più arrogante ma mi fa bene. Sono cambiato tanto ma il mio pubblico non è rimasto stupito, perchè ha seguito la fase di transizione sul mio canale youtube.»
Quando hai deciso di metterti a fare video online?
«Mi piaceva quello che facevano alcuni youtuber e ci ho provato senza un obiettivo, l’ho fatto istintivamente per dare il via a un percorso da iniziare con chi voleva seguirmi. Faccio tutto da solo, i clip li monto in privato senza pensare a cosa possano promuovere. Sono molto barbaro nello scrivere e magari in una notte faccio 10 pezzi e per un mese niente. Quindi quando li mettevo online mi rendevo conto che i ritmi del web sono molto più umani, perché li decidevo io.»
Il titolo provocatorio è stato anche dettato dall’insofferenza verso i detrattori?
«L’odio può diventare anche una bella forma di grinta. Ero quello che cantava i pezzi per far piangere il pubblico, oggi spero di essere anche un po’ più leggero. Ci tenevo, ad esempio, che la produzione del disco fosse innovativa e Francesco Catitti è un produttore underground che mi ha capito totalmente. Ci siamo ascoltati e dal titolo è derivato tutto.»
Hai fatto il primo concerto pubblico all’Alcatraz di Milano con tutti i fan. Com’è il tuo rapporto col pubblico?
«Lo sto scoprendo ora perché dopo la tv tutti ti riconoscono e io mi sentivo strano. Mi chiamavano cafone perché non mi giravo per strada, ma non li conoscevo. Ora c’è un senso di comunità più forte, per me la distanza tra artista e fan non esiste perché mi metto a livello del pubblico quando posto i video online.»
Il primo album aveva collaboratori di grande spessore, da Tiziano Ferro a Morgan. Come lo senti ora?
«Sono sempre io, ma oggi ho qualcosa in più. Credo che gli autori di quel disco abbiano cercato di interpretare quello che io dovevo diventare. Non sapevo chi ero. Ho resettato le amicizie di quel tempo perché è difficile avere a che fare con persone che non hanno vissuto con me le esperienze. Tante vicissitudini non si possono raccontare, bisogna viverle assieme.»