Li abbiamo attesi, ma finalmente sono tornati per regalarci ancora una volta, un gran bel momento di musica italiana. Sono partiti con la denuncia delle boy band e sono arrivati ad essere una delle realtà rock elettroniche più apprezzate del nostro panorama musicale. “La razionalità” è il nuovo EP della band romana, disponibile su iTunes e nei principali digital store. È un mix di rock contaminato da una dose di elettronica ancora più crescente rispetto al passato, ritmiche dub, echi new wave e bassi profondi che si mescolano a chitarre acustiche e a momenti più classicamente rock. Per l’occasione abbiamo incontrato Pierluigi.
Parliamo immediatamente del vostro nuovo lavoro “La razionalità”, ce lo descrivi? Cosa si devono aspettare i fan dei Velvet?
«Bhe, si devono aspettare 5 nuove canzoni che proseguono un po’ il cammino che avevamo già intrapreso negli ultimi anni. Un graduale inserimento di elettronica, intesa non solo come suoni diversi, ma proprio come un concetto produttivo molto più tecnologico, che ovviamente siamo in grado di eseguire perfettamente dal vivo integralmente, anche perché abbiamo aumentato la formazione, siamo diventati 5. Con un quinto elemento che si occupa proprio di synth e parti elettroniche. Per il resto devo dire che il riscontro che stiamo avendo è molto positivo. forse come non succedeva da tempo. Spero e credo che il modo con cui abbiamo lavorato a questo disco, in modo molto più leggero e sereno, si trasmetta e si rifletta nel tipo di suono.»
Al singolo “Razionalità” è ovviamente legato un video, che è un piccolo cortometraggio con tanto di cast attorale direi niente male: Giulia Bevilacqua Maurizio D’Agostino e Piergiorgio Bellocchio, per la regia di Saku. Com’è nata l’idea?
«L’idea è nata parlando proprio con Saku, il regista. Lo avevamo interpellato con l’idea di far girare a lui il nuovo video perché avevamo già lavorato insieme per altri video e sono sempre stati dei lavori bellissimi. È stato lui che ha voluto osare, realizzando un corto e mettendo la nostra musica al servizio dell’immagine. I videoclip che vediamo ultimamente sono tutti uguali e seguono quasi tutti un certo tipo di clichè. Noi ci siamo fidati abbiamo seguito tutta la produzione con Saku, e siamo contenti che anche in questo caso le scelte più rischiose stiano pagando almeno dal punto di vista artistico. Ci siamo posti il problema se fosse giusto mettere così in secondo piano la musica in certi momenti a favore delle parole, ma alla fine abbiamo optato per lasciare i dialoghi e le conversazioni e non pensare al fatto che fosse soltanto un videoclip, ma ragionando in senso un po’ più ampio artisticamente parlando.»
Ci sono voluti quasi 3 anni per pubblicare questo nuovo lavoro, avevate bisogno di raccogliere le idee o vi siete proprio voluti fermare un attimo per godervi un po’ di riposo?
«Riposo per nulla perché abbiamo lavorato tantissimo in questi anni. Partendo dal tour che è seguito al best “Le cose cambiano”, che abbiamo portato in giro fino praticamente ad aprile 2012. Poi abbiamo lavorato ad alcune colonne sonore per il cinema, musiche per serie tv, abbiamo prodotto musica per altre band nel nostro studio, insomma c’è stato molto da fare. Poi sai non te lo so nemmeno spiegare bene, è una di quelle cose che succedono così, noi eravamo entusiasti di lavorare su alcune cose, ma non c’era la scintilla per lavorare sulle nostre. Anche se i pezzi li abbiamo sempre scritti ed esistevano già, non eravamo pronti per metterci in studio. Avevamo bisogno di prendere un po’ d’aria. Alla fine questo breve periodo ha portato al risultato che speravamo, cioè di guardarci un giorno e rimetterci a lavorare, tutti frementi con tantissima voglia di fare le nostre cose. Questa pausa ci ha permesso di lavorare con un entusiasmo che ci mancava da un po’ con meno pressioni e tanta voglia di fare la nostra musica.»
Nei vostri dischi, si può seguire una evoluzione della vostra musica sia dal punto di vista dei testi che da quello delle sonorità, è stato questa una evoluzione vostra o forse ci sono state anche influenze esterne rispetto magari ai primi lavori?
«Bhe, diciamo che è un po’ tutto questo. considera che questo è il primo disco completamente e integralmente autoprodotto da noi, sia dal punto di vista delle idee che di sonorità. Oggi siamo arrivati ad una situazione di equilibrio tale da poter lavorare da soli anche sulla nostra musica e non solo su quella degli altri, cosa che già facevamo da tempo. Il concetto non è tanto la capacità di far suonare una cosa bene o di avere idee, è proprio una questione di rapporti personali. Il produttore è anche colui che interviene quando nel gruppo arrivano i dubbi, mettendo ordine. Però, bisogna avere anche la serenità di farlo con la propria band che non è proprio scontato visti i rapporti tra di noi che vanno avanti da 15 anni e come capirai non è semplice. Come in un rapporto familiare, certe situazioni si cristallizzano e non è facile scalfirle. Ovviamente siamo arrivati qui anche grazie alle collaborazioni con altri, per esempio quella con Casasonica, che ci hanno aiutato ad arrivare al punto dove siamo oggi, in grado di camminare da soli. Per i testi di questo disco, poi, ho voluto coinvolgere Alberto Bianco cantautore torinese molto bravo, proprio con l’idea di essere coautori, scambiandoci il materiale finché non siamo arrivati al risultato completo. Sono molto contento di aver avuto l’umiltà di aver permesso a persone esterne di entrare in questo processo produttivo così intimo come scrivere canzoni, è stato molto importante perché mi ha permesso di vedere cose che probabilmente da solo non avrei esplorato. È una cosa che sicuramente replicheremo. C’è sempre da guadagnare nel collaborare con artisti che stimiamo.»
Nella vostra musica si riconosce una chiara influenza della musica britannica ed ho letto anche una vostra passione comune proprio per band come Oasis, Radiohead, Rlur e affini, se doveste scegliere un punto di riferimento comune nella musica italiana chi scegliereste?
«Un punto di riferimento nella musica italiana è più difficile da identificare. Sai i grandi artisti del passato per un verso o per l’altro non riescono a racchiudere tutto quelle che ci piace della musica, come può succedere per band come i Cure o Dapesche Mode o affini. Nella musica italiana del passato ci sono sicuramente cose e artisti di cui magari ci piace qualcosa, ma è difficile identificarne uno che proprio racchiuda in toto quello che ci piace; nella musica a noi contemporanea punti di riferimento magari no, ma ci sono band che ci hanno molto entusiasmato nel loro percorso, come gli stessi Subsonica o i Verbena o alcuni momenti dei Tiromancino, Nicolò Fabi per come usa le parole, insomma ci sono sicuramente situazioni anche in Italia molto importanti per lo sviluppo della consapevolezza che anche in italiano si potessero scrivere delle grandi canzoni. »
Ho dato uno sguardo alla vostra pagina face book. Che rapporto avete con i social network? Vi piace questo nuovo modo di comunicare con i vostri fan o preferite il metodo live?
«Sono due cose non in competizione, il concerto vince sempre su tutto. Però amiamo tenere informati le persone che ci seguono, spesso postiamo foto e altro, cerchiamo di farli sentire parte di una comunità. Ci sentiamo molto legati a tutti coloro che ci seguono, che vengono ai concerti, ci piace questa idea di grande comunità allargata.»
Un’estate di impegni la prossima, ci raccontate che farete?
«Si stanno mettendo in piedi sia date promozionali e concerti veri e propri, ma comunque dovremo registrare anche nuove canzoni durante l’estate e credo che già dopo l’estate saremo pronti per pubblicare nuova musica.»