“Come un delfino, miniserie televisiva italiana del 2011, ideata e prodotta dallo stesso Raoul Bova, ritorna con una seconda serie di quattro puntate, mercoledì in prima serata su Canale 5.
Oltre a Bova sono stati confermati quasi tutti gli attori tra cui Ricky Memphis, Maurizio Mattioli, Giulia Bevilacqua, Paolo Conticini e tanti altri. Tra le new entries, invece, segnaliamo Tony Sperandeo, Lorenzo De Angelis, Federico Costantini, Diego D’Elia e Alan Cappelli. Una grande sfida per l’attore che, come rivela, ha impiegato molto tempo ed energia in questo progetto. Parte delle riprese sono state effettuate a Roma presso presso la casa famiglia La Mistica. Raoul Bova, da anni, è impegnato nel sociale e La Mistica è frutto di un grande lavoro della fondazione, creata da lui e da sua moglie. Bova ha ammesso che per capire fino in fondo queste problematiche, gli autori si sono fatti aiutare da due grandi sportivi: Federica Pellegrini e Massimiliano Rosolino. Inoltre, la prima serie partiva da un vero dramma: il ritiro forzato dalle competizioni. Storia, questa, liberamente ispirata a Domenico Fioravanti (il nuotatore che, a causa di una sofferenza cardiaca, dovette ritirarsi). La nuova serie riprende il tema dello sport come stile di vita. La storia, però, ha dei chiari riferimenti alla realtà: il doping, le crisi sportive, gli attacchi di panico. Tutti temi trattati con sensibilità.
Raoul Bova
Cosa hai provato durante le riprese della seconda serie?
«È stato emozionante. Questo è un progetto sognato e pensato. Ho insistito tantissimo sulla possibilità di realizzarlo. Devo moltissimo a Giancarlo Scheri, che si è lanciato in questa avventura e ha creduto nella possibilità di mettere in risalto lo sport nella fiction, cosa abbastanza inusuale.»
Come è nata l’idea di realizzare questa serie?
«Ho trovato persone che hanno voluto scommettere con me, e ringrazio tutto coloro che hanno creduto in un concetto, in una voglia di fare una fiction diversa, con dei significati diversi, con degli ideali diversi con personaggi sicuramente non convenzionali. Ho voluto raccontare storie di riscatto, storie di persone che vogliono farcela nonostante le mille difficoltà. Alessandro (il protagonista) giovane campione olimpico costretto al ritiro a causa di una sofferenza cardiaca, partiva da grandi difficoltà, proprio come Domenico Fioravanti. Abbiamo inserito nel personaggio anche gli attacchi di panico, l’ ansia da prestazione, tutto questo per far capire che non è così semplice come si potrebbe pensare. Se si vince è perché dietro c’è una voglia di combattere, di resistere al dolore e questo è molto importante. Saper vincere, ma soprattutto perdere, ricominciare nuovamente un’altra sfida, è un concetto sportivo da poter applicare alla vita di tutti i giorni.»
Per quale motivo hai voluto curare la regia?
«È una storia che volevo raccontare ai miei figli, dargli forza e speranza. Non mi sento di affermare di aver fatto regia come un regista vero, ma l’ho divisa con Franco Bertini, che ha iniziato questo film collaborando attivamente e Stefano Reali che ha seguito la post produzione. Quindi, la mia regia è stata un contributo rispetto a quello che hanno dato tanti altri. Ringrazio in particolar modo i miei amici attori, che hanno accettato che un collega che li dirigesse. Mi sono sempre posto come un compagno che cercava di voler raggiungere un traguardo e spero di non essermi mai messo su un gradino più alto. Questo è stato il cast migliore che avrei mai potuto desiderare.»
Domenico Fioravanti ha collaborato alla stesura della sceneggiatura?
«Per quanto riguarda la sceneggiatura non ha collaborato, abbiamo avuto l’aiuto di giovani talenti. Le nostre produzioni hanno lo scopo di tirar fuori nuovi maestri del futuro. Scovarli, tirarli fuori e lanciarli.»
Perché la didascalia, “Il coraggio di essere liberi”?
«Ci vogliono anni di psicanalisi per spiegare questa frase. La libertà è quella che abbiamo dentro di noi, anche per quelle persone che credono di esserlo ma in realtà sono in gabbia. Spesso non siamo liberi di noi stessi e in questa fiction i ragazzi lottano per la loro libertà e hanno il coraggio di farlo.»
Cosa ti fa sentire libero?
«Una delle cose che mi ha dato soddisfazione e mi ha fatto sentire libero è questa fiction. Ho realizzato un progetto filmico che sentivo tanto e nell’ambiente cinematografico non sempre puoi fare ciò che desideri e ami. Grande gioia e sensazione immensa di libertà.»
Hai altre iniziative in qualità di regista?
«Ci sono dei progetti, ma non muoio dalla voglia di realizzarli. Lo farò quando capirò di aver trovato la storia giusta, forse la prossima sarà più cinematografica che televisiva. Per ora continuerò da attore.»
Ci sarà una terza serie? Continuerai con la regia?
«Si, la stiamo già scrivendo. Non farò la regia perché è stato per me molto faticoso recitare anche, preferisco ridare lo scettro a Stefano Reali. Credo sia meglio non fare troppo altrimenti il risultato potrebbe essere fallimentare.»
Che emozione hai provato a tornare nel mondo del nuoto?
«L’emozione è stata bella e brutta, siccome ho ripercorso dei momenti di grossa difficoltà come atleta, ma sono riuscito a dire che forse tante cose ce le mettiamo nella nostra testa e da solo mi sono impedito di vivere lo sport nel modo più sereno. Sono stato il carceriere di me stesso. Oppure penso a Federica Pellegrino, la quale aveva gli attacchi di panico prima delle gare e che potenzialmente sarebbe la più grande atleta del mondo, bloccata dalla paura. Per questo motivo la terza serie sarà quasi un prequel, una storia di quello che è stato in passato il protagonista per far capire come nascono certe problematiche, ma ripeto, non solo nello sport.»
Il nuoto sembra essere uno sport individualista. Tu cosa ne pensi.
«Il nuoto è uno sport singolo, ma è da non sottovalutare la parte della staffetta, in cui i ragazzi danno tutto ciò che hanno. In realtà c’è un gruppo che nuota insieme a te, che soffre, che gioisce, che fa le trasferte, quindi è uno sport di grandissima unione di squadra. Infatti, i ragazzi che singolarmente non sono bravi ad ottenere risultati, in staffetta sono grandiosi, per il gioco di squadra che dicevo prima. Questo è accaduto anche a me, li dove singolarmente non eravamo forti, facevamo una staffetta e vincevamo tutto.»
Quanto pensi sia importante raccontare una storia positiva?
«Da spettatore, mi piacerebbe vederle, quindi penso sia giusto farle. Farle vedere ai miei figli, ai giovani. Questa è un alternativa a cose che abbiamo visto un po’ tanto in Italia. Abbiamo bisogno di dare speranze.»
I tuoi figli che rapporto hanno con il nuoto?
«Per me è importante fare nuoto per salvarsi la vita. I miei hanno iniziato ma hanno scelto tennis e scherma. Il nuoto è bello ma faticosissimo. O lo ami o molli al secondo tentativo.»