Germano Massenzio è uno dei più bravi esponenti italiani del disegno, che scrive e filma i nostri piacevoli ricordi preferiti nella sua prima graphic novel “15 Agosto”. Scritto e disegnato interamente da lui, il progetto è sicuramente di grande valore, dal disegno innovativo, ambientato in una Piazza Plebiscito deserta di una Napoli assolata, edito da In Form of Art Press.
Massenzio è uno dei nomi più interessanti emersi nel corso degli ultimi anni sulla scena fumettistica. Talentuoso e incisivo, perfettamente a suo agio nella dimensione del racconto breve e della novella, propone tutte le peculiarità del suo stile rappresentativo nelle sue opere.
Napoletano classe 1975, il suo primo amore è stato Goldrake, poi il fumetto, Touch, conosciuto in Italia con il nome Prendi il mondo e vai, ma già da diverso tempo non segue più manga, ammira le graphic novel europee e americane e i vari disegnatori italiani e stranieri.
Ha sempre lavorato come illustratore e fumettista. La musica, insieme alla lettura di libri e al vissuto quotidiano, sono fonti d’ispirazione per il suo lavoro. Da qualche anno, oltre a disegnare, comincia a scrivere piccoli racconti, definendosi più “disegnautore” che non definirsi sceneggiatore.
Quando hai iniziato a disegnare? Quando nasce la tua passione artistica?
«Da bambino ho cominciato subito a disegnare e amare il disegno, merito della mia passione per i famosi cartoni giapponesi e ai fumetti, appartengo alla cosiddetta Goldrake generation. Nei primi anni delle superiori, insieme a quelli che oggi sono grandi disegnatori italiani, formammo un gruppo di fumettisti e iniziammo a fare le prime fiere del fumetto, Lucca, Roma, Napoli, portando in giro i nostri disegni con le fanzine e riviste amatoriali. Per noi sembrava già un grande successo il vedere pubblicati i nostri fumetti. Per tanti anni ho fatto l’illustratore, molto più facile perché ti viene richiesta una sola immagine. Verso il 2005/2006 sono rientrato nel mondo del fumetto decidendo di essere un autore completo, scrivendo, disegnando e cercando di proporre le mie opere alle case editrici. Ma non è stato semplice.»
Quando hai proposto per la prima volta i tuoi lavori?
«La mia prima storia, scritta e disegnata da me è stata “La Sedia del Diavolo”. L’ho proposta a diverse case editrici, anche se quelle francesi si sono dimostrate più interessate, rispondendomi in tempi brevi.»
Hai creato un tuo protagonista, una tua eroina o eroe?
«No, le mie graphic novel puntano ad avere personaggi semplici, niente supereroi o eroine, ma protagonisti di vita quotidiana. Quando ero più piccolo creai un personaggio rimasto nel cuore e nella mente di tanti miei amici delle superiori, perché veniva pubblicato sul giornalino della scuola, si chiamava John Hippy, un ragazzo hippy riportato ai giorni nostri, all’epoca ebbe un piccolo successo scolastico.»
Come si fa a ideare un racconto per immagini? Come si decidono le scene o gli oggetti da visualizzare, da far risaltare in una graphic novel?
«Non mi sento sceneggiatore, mi definisco più un racconta storie. Si parte da un’idea che frulla nella tua mente, la elabori per immagini, per sequenze, attraverso quello che è l’abc della sceneggiatura, con dei ritmi e inquadrature che permettono al lettore di capire quello che stai per raccontare, poi dipende anche dall’argomento che vuoi raccontare, fantasy o noir o horror, attraverso degli elementi caratteristici comprendi il genere che fai. Come quando nasce un testo di una canzone, hai in mente delle immagini che cerchi di descrivere in una frase, trovando delle rime accompagnandole alla musica, per noi il testo si trasforma in sequenze.»
Come vive un fumettista? La notte, ad esempio, è vista come il momento giusto per elaborare, scarabocchiare?
«Ci sono due categorie di fumettisti, i seriali che lavorano quotidianamente, ad esempio, quelli della Bonelli, che hanno delle uscite a brevi scadenze, e gli altri che hanno dei tempi più personali, lavorano a contatto con gli sceneggiatori, ma sempre nei limiti delle scadenze da rispettare con la casa editrice. Sicuramente è un lavoro a tempo pieno, non ci sono orari. Di notte o di giorno, uno si organizza il tempo come può. Per chi fa questo lavoro, tanti consigliano di avere sempre con se una penna e un block notes, per appuntarsi le cose che colpiscono quando sei in strada, o un’idea che nasce al momento. Se non lo appunti subito succede come il sogno, si va pian piano a sbiadirsi, di conseguenza si perde quell’attimo sul quale si poteva costruire qualcosa da raccontare.»
Di cosa ti occupi attualmente?
«Tutti i pomeriggi della mia vita lavoro come fumettista e illustratore. La mattina insegno educazione artistica nelle scuole medie, in precedenza ho anche insegnato nelle scuole di fumetto, sia a Napoli che a Caserta. Il rapporto di insegnamento con i ragazzi mi è sempre piaciuto, perché quando uno conosce e sa bene le cose del proprio mestiere e, sempre piacevole trasmetterlo agli altri.»
Stai già lavorando alla tua opera successiva? Puoi accennarci di cosa tratterà?
«In cantiere ci sono un paio di progetti, una storia scritta e disegnata da me ed un’altra scritta da un mio amico, che da tempo mi ha proposto di realizzarla.»
L’illustrazione, su cui si basa il fumetto, ha fatto parte anche della tua formazione, più pittorica.
«L’acquarello è la tecnica pittorica che mi ha affascinato di più, rispetto a quella della tempera, dell’olio, dell’acrilico, usata anche da grandi autori come Hugo Pratt. È stata una mia scelta personale, per 15 agosto, usare l’acquerello in bianco e nero, in scala di grigio, che dà una bellissima sensazione estetica, come la foto in bianco e nero, rispetto a quella a colori. Vorrei continuare su questo genere, ho pubblicato alcuni fumetti in bianco e nero, trattando sempre la china in una maniera pittorica, e non il classico bianco e nero.»
La scelta di realizzare uno storyboard più che un fumetto da che deriva?
«Disegnare lo storyboard è molto più semplice, perché si appuntano subito le idee. Con la sceneggiatura, invece, bisogna descrivere minuziosamente tutto, la location dove si svolge l’azione, il personaggio cosa sta facendo, la sua espressione, in che inquadratura è collocato. Mentre lo storyboard, nel mio caso, come si può vedere anche nello sketch book finale di “15 Agosto”, si appunta direttamente con dei segni veloci, con la penna e il pennarello. »
“15 agosto” ripercorre qualche ricordo della tua adolescenza?
«Si ispira ad una mia esperienza adolescenziale. Per motivi lavorativi di mio padre, andammo in vacanza a luglio, quindi fui costretto a rimanere nel mese di agosto in città. Ricordo che quel giorno non uscii di casa, affacciato alla finestra guardai una città quasi fantasma. Mi dava la sensazione di un quadro metafisico di De Chirico. Il mio pensiero andava ai miei amici che stavano a mare a divertirsi, mentre io trascorrevo, per la prima volta in vita mia, il giorno per eccellenza d’estate in città e non al mare.»
Chi sono i protagonisti del racconto?
«I protagonisti sono ragazzi comuni, che si divertono giocando con il supersantos in mare. Personaggi semplici, normali, mache rappresentano quella fetta di persone che hanno la possibilità di andare in vacanza. Gli altri protagonisti sono degli scugnizzi che scendono dal Pallonetto di Santa Lucia. Rappresentano quelle famiglie che non hanno la possibilità di muoversi economicamente per andare in vacanza, chi legge può “rivedersi” in uno di queste situazioni.»
Quali sono i loro sogni?
«Non saprei risponderti sui sogni dei miei protagonisti. Questa mia breve graphic novel vuole dare un’immagine nuova, poetica a Napoli, senza usare degli stereotipi, come quello della camorra, pulcinella, che di solito si usano per rappresentare questa città, diciamo un’immagine insolita, mai vista. Spero nel mio piccolo di esserci riuscito.»
Simbolo di unione è il pallone come un mezzo comunicativo e di aggregazione?
«Napoli è una città pallone-dipendente. Se la nostra squadra di calcio vince siamo tutti contenti e sembra che i problemi che abbiamo possano risolversi. Diventiamo di colpo ottimisti, ma se le cose, calcisticamente parlando, vanno male, ecco che tutto sprofonda in una crisi senza via d’uscita. La città sembra essere avvolta da un alone di negatività. Il pallone è sempre stato un feticcio magico, in qualsiasi età. È quel mezzo che ti porta a fare amicizia in qualsiasi luogo, a mare, in una piazza, in un angolo della città, dando vita a interminabili partite.»
Napoli continuerà a essere la scenografia dei tuoi racconti?
«Ho diversi progetti che vorrei realizzare e, in qualcuno di questi Napoli dovrebbe essere ancora teatro di qualche storia.»