C’è sempre stato il teatro nella formazione e nelle aspirazioni di Renzo Rubino, il giovane cantautore pugliese, che si è imposto allo scorso Sanremo tra i giovani con la coraggiosa “Il Postino (Amami Uomo)”. Un’impostazione che si sente dal vivo e sul disco. È uscito da poco il suo album “Poppins” ed è partito il Poppins Tour (info su livenation). Ne abbiamo parlato con il protagonista.
Che cosa è cambiato da quando sei salito sul palco dell’Ariston a oggi?
«Faccio il mio mestiere e per fortuna non devo trovare altre strade, posso essere un privilegiato a concentrarmi sul mio lavoro. È tutto un regalo e lo accetto con entusiasmo. Anche se so che la discografia sta attraversando un momento delicato, ho guardato i numeri delle mie vendite e mi son detto: possibile? Ho fatto tutto questo da solo?»
Cambia il tuo rapporto con gli artisti?
«Certo. È cambiato perché prima erano degli idoli ora riesco a farci anche due chiacchiere. Nel bagno degli spogliatoi della prima partita che ho fatto con la Nazionale cantanti ho incontrato Niccolò Fabi, che per me è un grande artista. Ancora adesso parlo di cose di cui non ho ancora realizzato la portata. Giuliano Sangiorgi dei Negramaro mi ha scritto un messaggio di complimenti. La Littizzetto parla di me a Radio Dee Jay. Incredibile.»
Perché piace quello che fai?
«Perché parlo di cose che mi toccano in prima persona e sono incoraggiato a farlo in primis da me stesso. Quando mi metto a scrivere qualcosa che non ha origine nell’istinto me lo rileggo e butto via tutto. È tutto istinto. Poi viene la melodia, la musica al piano che nasce da sé, mi sento che qualcosa accade e che vale la pena raccontare. Non ho fatto ancora una canzone sul sociale, sulla situazione di noi ragazzi perché finora ho parlato di me. Basta questo per il momento.»
Hai portato però un tema scottante al festival e anche il nuovo singolo Pop parla di come l’establishment a volta condiziona gli artisti giovani.
«Al festival ho presentato l’amore tra due uomini a modo mio, come mi andava di fare. Poi ci sono artisti che come me hanno fatto il primo maggio a Roma che scioccano mostrando il preservativo. Se l’hanno fatto non pensandoci sopra per un mese per me va bene. L’importante è l’urgenza. Per Pop invece volevo che quel clima di oppressione che a volte viene comunicato per manipolarti si evincesse ancora di più nel video. Volevo un video splatter, col sangue! Ma mi hanno detto che non è adatto a un pubblico di piccoli. Secondo me oggi i piccoli guardano ben altre cose.»
Quando ti esibisci sembri molto diretto e sicuro di te, da dove ti arriva questa carica?
«Sono politicamente scorretto a modo mio. A scuola volevo sempre prendere o 2 o 10, non mi è mai interessato il 6. Non mi spaventa tanto esibirmi quanto l’attenzione. Il primo maggio in tv è fare musica. Sanremo invece è tutto, è il festival del giudizio, ti guarda tua nonna e il macchinista dietro la telecamera.»
Che tipo di show presenti dal vivo?
«Devo dire che sono proprio forte dal vivo! Lo dico perché è tutto studiato come presentazione scenica, con la mia famiglia musicale che mi segue da quando ho iniziato. Ho anche dei pedali che aziono per far muovere le luci di un albero che abbiamo costruito apposta per lo show. Volevo fare qualcosa che richiamasse il teatro che è una cosa bellissima. Il cinema ti porta in posti che non sono reali, mentre lo show musicale e il teatro ti fanno viaggiare rimanendo nel posto dove assisti allo spettacolo.»
Cosa suoni?
«Tutto il mio album, ma non nella stessa sequenza del cd. Poi faccio cover di canzoni che mi hanno da sempre colpito, da Jannacci a Dalla, e le facevo prima della loro scomparsa. Propongo anche qualche inedito.»
Stai già scrivendo il tuo prossimo capitolo?
«Non sono uno che scrive per forza tutti i giorni, infatti non credo mi interessi la carriera da autore. Quando sono arrivato alla casa discografica Warner avevo 30 pezzi pronti e ne sono stati scelti 12 da mettere sul primo cd. Poi ora ne stanno venendo altri, scrivo per divertirmi. E si sta muovendo anche qualcosa per fare delle collaborazioni, un aspetto del mio lavoro che mi piace molto.»
Ti senti arrivato rispetto agli emergenti che hanno la tua stessa età?
«La storia degli emergenti è proprio buffa. Tra di loro cercano sempre di mollarsi colpi mancini. Invece io me li ascolto tutti, imparo anche da loro. Mi piacciono molto i Toro Meccanica ad esempio, e tutta la scena pugliese in questo momento offre degli spunti interessanti. Mi piacerebbe anche scrivere per il cinema infatti non vedo l’ora che qualcuno mi faccia conoscere Paolo Sorrentino. Sarebbe un onore lavorare per lui, io lo ho apprezzato anche da scrittore oltre che da regista.»