Grande interesse di critica e pubblico per la rassegna internazionale di arti visive “Eidopath’ Art”. La mostra, curata da Angelo Calabrese e realizzata dal duo performer Savà (Enrica Sansone e Mario Varotto) è stata inaugurata all’inizio giugno in Villa Bruno a San Giorgio a Cremano (Na) e sarà aperta fino al 23 del mese corrente. La sigla Savà nasce dall’unione dei due artisti Sansone e Varotto. I due, secondo quanto sostiene il critico d’arte Angelo Calabrese, attraverso le loro opere, trasmettono all’utente una nuova emozione che scaturisce dal rapporto dell’uomo con la tecnologia in tutte le sue espressioni e trasformazioni.
Come mai la scelta del titolo “Eidopath’art”?
«L’idea del titolo deriva da Eidos e Pathos, due parole greche, per porre l’attenzione sull’immaginazione,la bellezza, la forma e l’aspetto, e nello stesso tempo anche sul trasporto, l’emozione e la passione. L’intento era quello di dare un nome nuovo ad un prodotto che non ha termini di paragone in quanto non sono state ancora sperimentate soluzioni artistiche di questo tipo.»
Come definiresti questo tipo di fare arte?
«Opere nuove, particolari. Appunto per questo è nata l’esigenza di formulare una nuova parola che racchiudesse proprio questo stile, poiché neanche nella pittura si sono avute soluzioni di questo genere. Certo, sono stati realizzati quadri astratti che qualcuno potrebbe associare all’espressionismo astratto, ma non è nulla di tutto ciò. Noi partiamo da soggetti figurativi, cerchiamo di evidenziare i corpi dell’uomo, del genere umano che è in evoluzione, con la tecnologia dai tempi passati, fino ad oggi.»
Com’è nata l’idea di questo tipo di arte particolare?
«Abbiamo iniziato la nostra collaborazione buttando giù dei progetti per delle istallazioni che volevamo realizzare. Lavorando insieme, giorno dopo giorno, sono nate altre idee. Questa mostra, in particolare, è scaturita da un’intuizione, da un piccolo micro-cip che a sua volta racchiude intelligenze umane di enormi proporzioni, quindi è una cosa su cui si deve riflettere. Parliamo di un uomo protesico in tutti i sensi. Ad esempio, nessuno di noi vive senza un orologio, un telefonino o un computer. La tecnologia sta diventando parte integrante dei nostri corpi.»
Abbinare sculture totem a un quadro è una cosa che si vede solitamente nelle collettive. La vostra si potrebbe definire una mostra in 3D. Come mai questa scelta?
«Perché le sculture viaggiano a pari passo con le tele, fa tutto parte dello stesso discorso, così pure l’istallazione a contorno.»
State già pensando ad un prossimo progetto?
«Il prossimo passaggio della nostra evoluzione artistica sarà “una mostra a cinque sensi”, dove la percezione del fruitore coinvolgerà tutti i sensi.»