Tutti ricordiamo la romantica Iris, hit entrato nella storia anche grazie alle scene del film City Of angels (1998). Dietro quel melodic rock c’erano i Goo Goo Dolls di John Rzeznik che oggi è arrivato al decimo album con la formazione americana. Lo abbiamo incontrato per farci spiegare cosa ha di speciale Magnetic, lanciato da Rebel Beat e come vede la vita a 20 di distanza del debutto nello show business.
Il singolo ha suoni meno “garage” dei vostri inizi, com’è cambiato il tuo modo di comporre?
«In tanti anni ho conosciuto tante persone, ha avuto senz’altro un’influenza quello che mi ha circondato, le persone meno fortunate mi hanno fatto capire quanto ero fortunato. C’è stato un momento che mi sentivo davvero pazzo, bevevo, mi ero depresso e vivevo in bilico tra depressione e felicità. Ora questo disco sancisce la definitiva rinascita, il clima è migliore rispetto allo scorso album.»
Quindi Magnetic è un disco positivo?
«Diciamo che ora in Europa state sperimentando quello che è successo per prima in America, è stato come un virus che si è allargato planetariamente. Come si fa a tornare a casa e dire alla famiglia che si è perso tutto, il lavoro, i soldi, le certezze? Io mi sono immedesimato in questo, ma se la gente non ha speranza, la schifezza inizia a sopraffarti. Con questo spirito ho scritto le nuove canzoni.»
Pensi che ci siano altri rimedi alla crisi oltre la musica?
«La musica può aiutarti, c’è chi crede, chi ha la religione, chi non ha fede ha paura. Io non sono un religioso, ma credo che ci sia un ordine, non è tutto accidentale. Vivo tra New York e Los Angeles e a volte per ritrovare me stesso me ne vado con la chitarra in un club e improvviso una suonata. Sono anche queste le cose che ti tengono vivo, che ti fanno sempre avere un contatto con la realtà.»
Hai usato delle sperimentazioni nuove per questo album?
«Ci sono pezzi come “Keep The Car Running” o “More Of You” che hanno dell’elettronica con un Bruce Springsteen feel che ho messo sopra io, sono molto contento di come ci siamo reinventati, altrimenti saremmo suonati obsoleti.»
Il titolo da cosa deriva?
«Solitamente le case discografiche ti chiedono un titolo che riassuma il concetto dell’album. In questo caso il mio manager mi ha chiesto il titolo a una sola parola e quando ho visto la copertina con l’immagine di questa ragazza che tutti volevano guardare, non riuscivano a staccarsi da questa foto ho trovato Magnetic.»
Avete anche registrato in tre città diverse, perché?
«Mi sento di impazzire se mi rinchiudo in uno studio con la band per mesi e mesi e nulla cambia. Abbiamo usato diversi produttori e questo ha richiesto lo spostamento. C’è Gregg Wattenberg (Train), Rob Cavallo (Green Day), John Shanks (Bon Jovi), e Greg Wells (Katy Perry). Gran parte dell’album è stato registrato in uno studio che si trova 12 piani sopra Times Square, pieno di finestre. Ero nell’epicentro culturale della civiltà occidentale. Rebel Beat è nata nella Lower Manhattan, per caso mi sono trovato al centro di una festa di strada italiana. Ognuno si stava divertendo, i bambini piccoli, gli anziani – ricordo il profumo di ogni cosa…ed era così caldo. Volevo tantissimo farne parte anch’io.»
Come vedi la tua carriera dopo l’esplosione di fine anni ‘90?
«Non può tornare indietro quello spirito perché anche la gente che ci ascolta non ci permette di essere nostalgici, bisogna sempre regalare qualcosa di nuovo al pubblico. Non credo che se ci sarà un revival 90 noi saremo aiutati da questo. Voglio restare al corrente con quello che è il mondo musicale attuale.»
Credi che sia un miracolo per una band rock restare in pista per 20 anni?
«Molti dei nostri contemporanei non ci sono più è vero. E noi siamo contenti di aver ritrovato il gusto di parlarci, di confrontarci. Quando hai successo non è sempre ovvio che succeda. Per molto tempo non ci siamo conosciuti a livello umano e credo che sia un bene ritrovarsi. Non dico che bisogna vivere assieme passo passo, abbiamo famiglie diverse, ci si vede nelle occasioni importanti, poi, capita che dopo due anni di tour per qualche settimana non ci si sopporti. Ma poi ti viene da richiamarli e rimettere tutto in moto.»
Con chi ti piacerebbe lavorare?
«Sarebbe bello scrivere con Tom Petty, Bruce Springsteen, i Replacements. Oppure con un mostro sacro come Neil Young. Vorrei anche registrare un disco velocemente, che ne so, scriverlo in un mese, registrarlo in una settimana e fregarmene del sound giusto per farmi passare dalle radio.»