È andato in scena presso la Maison des Artistes “L’ultimo nastro di Krapp“, una delle opere più apprezzate di Samuel Beckett. Si tratta di un monologo intenso dove si alternano passato e presente, voce registrata e voce reale, gesti e sentimenti che rivelano il conflitto interiore di chi si trova a stilare un bilancio della propria vita. Krapp è uno scrittore che affida le sue riflessioni e ricordi non alla pagina, ma al registratore. Un uomo solo, seduto a un tavolo su cui troneggiano un magnetofono e le scatole contenenti le bobine che ha inciso nel corso degli anni. Un uomo che fugge dal mondo, rintanato nella sua stanza spoglia e disordinata, dove ogni anno, ogni compleanno, come un rito, riascolta vecchi nastri registrati. Inevitabilmente i ricordi e le speranze del passato riaffiorano chiari e netti, scontrandosi con la desolazione di un presente amaro. Lo spettacolo è un capolavoro di sintesi emozionale, in cui poche pennellate disegnano il quadro di una vita. Per preservare questa perfezione formale, l’allestimento rilegge la complessità testuale, proiettando lo spettatore in un flusso temporale intenso e onirico. Claudio Miani è un abile interprete di questo difficile e intenso testo, in cui basterebbe poco per portarlo al ridicolo. Ambientazione tipicamente Beckettiana, con pochi oggetti, però, funzionali. Questa rivisitazione, come dice lo stesso Miani, è molto più adatta, anche riportando il tutto ai nostri tempi, in cui atti unici e disperati sono all’ordine del giorno. Il ricordo, il nastro, il tempo che passa, il tempo che è e che non sarà mai più. Il bivio tra la vita e la morte, il tutto in un unicum imponente. Notevole!
Come nasce artisticamente Claudio Miani?
«A livello artistico nasco seguendo alcuni studi sulla composizione scenica di Steve Lacy e sull’improvvisazione di Viola Spolin. Ho seguito laboratori di tecnica vocale tenuti da Antonio Neiwiller e Carlo Merlo, approfondendo poi la mimica con il Maestro Mario Ricci, Giuliano Vasilicò e Giancarlo Nanni. Terminati gli studi Accademici nel 2000, ho approfondito le tematiche del teatro dialettale realizzando il saggio Anvedi Questi! (ed. Armando) per poi dedicarmi quasi unicamente all’applicazione dell’improvvisazione nella drammaturgia contemporanea grazie all’affiancamento del M° Josè Sanchis Sinisterna e al Laboratorio di Applicazione Scenica di Grcko. »
Veniamo a “L’ ultimo nastro di Krapp”. Dov’è nata l’esigenza di interpretare questo testo e in che modo hai effettuato la rilettura?
«L’esigenza di “rileggere” L’ultimo nastro di Krapp nasce dalla voglia di confronto con un autore che ha segnato in maniera indelebile, almeno artisticamente, lo scorso secolo. Rivedere ed aggiornare il concetto di fine/morte beckettiano credo sia uno step fondamentale per chiunque voglia fare del teatro un veicolo comunicativo. Forma e testo si condensano dando vita al concetto di visionarietà e proiettando lo spettatore in un vortice di non-sense comprensibile solo a progetto concluso.»
L’incasso dello spettacolo è stato devoluto in beneficenza. Ci parli meglio di questa iniziativa?
«Noi come Associazione Culturale Cinem’Art portiamo avanti una collaborazione da oltre 5 anni con la ONLUS l’Africa Chiama. Cerchiamo di affiancare, per quanto possibile, il loro operato con finanziamenti contenuti ma costanti. In linea di massima realizziamo dai 3 ai 5 spettacoli anni il cui incasso lo devolviamo alla associazione di Fano. Da due anni, nello specifico, ci dedichiamo al progetto Karibuni Watoto per l’ampliamento di asili nido a Nairobi in Kenya.»
Come mai hai scelto la Maison des Artistes?
«La scelta della location è abbastanza diretta. Noi come associazione gestiamo lo spazio in questione a Via Urbana, 146, nella splendida cornice del Rione Monti. Abbiamo, per l’appunto, cercato di costituire una “Casa dell’Artista” all’interno della quale possano trovar vita Artigiani, Artisti formali e informali. Di giorno esponiamo e vendiamo prodotti artigianali Made in Italy mentre a partire dalle ventuno realizziamo eventi di musica, teatro, salotti letterari e corsi.»
Chi è oggi un attore e che ruolo può svolgere nella società?
«Questa credo sia una domanda senza tempo. L’attore è, è stato e resterà quello che nel 1200 era il giullare. Dovrebbe possedere la forza dirompente per analizzare il presente fornendo una chiave di lettura del tempo e delle situazioni. In tale direzione mi viene da pensare a degli artisti a mio giudizio eccezionali, come Celestini o Rezza. Intendere il fare teatro come un modo comunicativo che possa trasmettere allo spettatore un qualcosa che gli rimanga dentro, sia esso positivo o negativo. Non so se ciò sia sempre realizzabile, ma credo che dovrebbe essere la molla che spinge l’attore a offrire il proprio volto, il proprio corpo e le proprie parole.»
Quali sono gli autori a te più cari e cosa ti piacerebbe mettere in scena in futuro?
«A livello autoriale ci sono penne che hanno segnato non solo ogni attore, ma credo ogni persona dotata di gusto critico e intelletto. Basti pensare a Beckett, Ionescu, Mrozek, Brecht… e potrei andare avanti per chissà quanto tempo! I progetti sono molteplici, ma se tutto va come dovrebbe la prossima stagione ci saranno diverse date per Krapp, intanto saremo a Iesi il 18 luglio e poi il nuovo lavoro che dovrebbe partire verso fine ottobre, ossia una rilettura di Memorie dal Sottosuolo di Dostoevskij. Lo studio scenico dovrebbe essere affidato ad Antonio Veneziani, le musiche a Marco Santini e stiamo valutando la presenza di giovani artisti che producano delle opere pittoriche per la messa in scena.»