Di figlio in padre (edito da Bompiani), il libro pubblicato qualche mese fa e scritto da Manuel De Sica, racconta la vita e la carriera artistica di suo padre Vittorio. Si tratta di una sorta di mix tra biografia, aneddoti e saggistica in cui Manuel, candidato agli Oscar nel 1971 per la colonna sonora de Il giardino dei Finzi Contini e autore di oltre 100 colonne sonore, omaggia la figura dell’artista, dell’attore, ed in particolar modo quella dell’uomo e del padre. Il compositore italiano, figlio di Vittorio De Sica e fratello di Christian De Sica, fa tappa anche a Sorrento nell’ambito della rassegna Libri sotto le stelle.
Come è nata l’idea di scrivere questo testo?
«L’idea è nata per caso perché pensavo di tenere un diario intimo che sarebbe stato piuttosto terapeuta. Ho cominciato a scrivere una pagina al giorno senza fare nomi, poi, ho pensato che sarebbe stato molto più utile fare anche dei nomi e successivamente mi sono lasciato convincere a pubblicarlo. Se avessi dovuto scrivere una biografia personale, non avrei avuto il coraggio. Diverso è stato invece scrivere la mia storia unitamente a quella di mio padre.
Il libro tratta di molti racconti, di cinema e della mia vita con lui e anche inerenti ai film che negli ultimo 20 anni ho restaurato. Un libro, quindi, che ha molte valenze e molti strati con la particolarità di saltare avanti e indietro nel tempo senza un percorso cronologico un’idea questa che arricchisce il testo dando una certa vivacità e freschezza.»
Ci vuole parlare un po’ dell’Associazione Amici di Vittorio De Sica ed i restauri delle sue opere più importanti?
«Ho iniziato nel 1993 a restaurare le opere più importanti da Sciuscià, partendo dai migliori film quali ad esempio Ladri di biciclette fino ad arrivare ai film considerati minori ma maggiori come I bambini ci guardano oppure La porta del cielo; poi i film napoletani come Giudizio Universale, L’oro di Napoli, Matrimonio all’italiana.
Dal 2008 ho iniziato a fare un secondo restauro, questa volta in digitale perché mi sono resoconto che col restauro analogico dopo un po’ si sarebbero degradati ancora.»
Lei ha ribadito nel suo libro che il cinema andrebbe studiato a scuola. Un’idea così avanti e pure così lontana dalle nostre scuole.
«Venti anni fa in America insegnavano il cinema al computer facendo studiare pezzi dei film comparandoli con gli altri. Credo sia fondamentale, oltre all’insegnamento base, dare spazio al cinema, magari collegandolo alla storia.»
Lei ha iniziato a suonare perché ha trovato nella musica una dimensione terapeuta, ma quando compone una colonna sonora di un film a cosa s’ispira, cosa pensa?
«Una bella colonna sonora non si deve notare. Bisogna innanzitutto apprezzare il film e dopo valutare ed ascoltare anche la colonna sonora scelta per quel progetto filmico.»
A Giffoni Film Festival è stato detto ai ragazzi che studiano cinema di andare via dall’Italia per riuscire a fare cinema,poiché qui non c’è spazio e non ci sono soldi. Crede sia veramente un consiglio che i ragazzi debbano seguire?
«Credo che sia facile spaventare i giovani che già non hanno molte certezze. Per me i giovani vanno incoraggiati. Dal mio canto cerco sempre di essere costruttivo nei loro confronti. È facile distruggere i sogni, bisogna a mio avviso costruire e lottare per realizzarli.»