La Stè & i Motorcycle Mama, nati come cover band, ora esco no allo scoperto proponedno un Ep autoprodotto con quattro brani inediti e una cover, un lavoro di amplissimo respiro, ricchissimo di componenti dal sapore vintage rock, intessuto di situazioni musicali che esprimono, tenerezza e passionalità, amori primordiali e tinte noir marcatissime, giovialità e dolore.
LaStè è la cantante e attrice, Stefania Aprea, e la band che l’accompagna, i Motorcycle Mama, sono Marco Sorrentino (drums, backing vocals), Giuseppe Villano (lead guitar), Antonella Bianco (rhytm guitar) e il nuovo arrivo Michele Matto (bass guitar). La Stè & i Motorcycle Mama, si distinguono in modo evidente dalle altre band della nostra scena musicale partenopea per l’enorme portata e perfetta comunicabilità musicale, La Stè incarna nella sua musica tutta la straordinaria energia e vitalità sprigionatasi negli anni ’60, dal rock al blues, dal folk al soul.
Com’è nato il progetto La Stè con i Motorcycle Mama?
«Il progetto è nato alla fine del 2011 da un’idea mia e di Marco Sorrentino, batterista col quale già collaboravo nei Pennelli di Vermeer. L’idea era quella di mettere insieme un repertorio che comprendesse le cover dei brani che più ci stavano a cuore, con sonorità che spaziassero tra rock, il blues, il folk e il soul anni ’60 – ’70.
A noi due si aggiunsero gli amici Giuseppe Villano alla chitarra solista e, Antonella Bianco alla chitarra ritmica. Al basso Luigi Gennaro Izzo (già bassista dei Tulips), con il quale abbiamo condiviso moltissimi live e le registrazioni per l’EP, ma che per motivi lavorativi, ha dovuto lasciare la band quest’estate. Al suo posto oggi c’è il bassista Michele Matto.
“LaStè” è il soprannome affibbiatomi dai miei amici un bel po’ di anni fa e, che mi ha accompagnata fino ad oggi, cosicché è stato automatico farlo diventare il mio nome d’arte. “Motorcycle Mama”, invece, è un nome preso in prestito dall’omonimo brano di Neil Young, uno degli artisti che più apprezziamo.»
Com’è avvenuto l’incontro con I Pennelli di Vermeer? E come ti trovi a lavorare con il leader, Pasquale Sorrentino?
«Nel 2007, un amico musicista col quale collaboravo ad un progetto di musica celtica, mi presentò Pasquale Sorrentino, voce, autore e compositore dei Pennelli di Vermeer, che all’epoca era impegnato a scrivere e comporre i brani dell’album “La Primavera dei sordi”. Pasquale mi sentì cantare e mi propose di provinare il brano “Nel Giardino di Belzebù”, accettai subito! Conoscevo e apprezzavo molto la musica dei Pennelli di Vermeer e il brano mi colpì moltissimo. La canzone in questione fu pubblicata all’interno dell’album nel 2008. Da allora è nata una collaborazione con la band che mi ha arricchito moltissimo, musicalmente e umanamente. Pennelli di Vermeer è per me un laboratorio in cui mettersi continuamente alla prova, in cui proporre, sperimentare, rielaborare, accorpare idee e stili differenti, questa filosofia si sposa perfettamente con il mio modo di vivere l’arte. Con Pasquale mi trovo benissimo! Riesce a capirmi al volo e, a cucirmi addosso i brani con estrema naturalezza. In più riusciamo a coordinarci alla grande anche sul lavoro che ruota intorno alla parte creativa, quello di tipo organizzativo.»
Quattro brani scritti da Pasquale Sorrentino, com’è avvenuta per te la scelta dei brani?
«Un giorno Pasquale mi disse: “Ho un pezzo per te, potresti farlo con i Motorcycle Mama!”. Me lo fece ascoltare, il testo non era ancora definito, ma il sound era quello giusto per il mio progetto. Così è nato il primo brano, “Non ho paura”. In seguito gli proposi di collaborare, come autore, agli altri brani del progetto “LaStè & Motorcycle Mama”, ormai collaudato. Ne parlammo, mettemmo insieme un po’ di idee sui brani e, Pasquale cominciò subito a lavorarci, dopo poco vennero fuori gli altri tre inediti dell’EP, che abbiamo arrangiato insieme alla band.»
Tenterai anche tu un giorno di scrivere qualche canzone e suonare qualche strumento?
«Devo dire che fino ad ora non mi è affatto dispiaciuto dedicarmi prettamente al canto e nel mio piccolo, alla recitazione. Credo che il mio compito principale sia valorizzare al massimo le mie doti vocali, lavorare alle sfumature, all’intensità, l’espressività, la gestualità. Nonostante questo suonicchio la chitarra, un po’ il piano e mi diverto con l’armonica e percussioni varie, questo mi facilita sicuramente nello studio; scrivo molto, più che di canzoni, si tratta di poesie e racconti brevi, perciò chissà che, prima o poi, io non mi senta pronta a sperimentare anche la strada del paroliere. Intanto, mi avvalgo con piacere della collaborazione di altri autori e compositori.»
Il brano Ombre parla di quelle ombre che offuscano la mente?
«Non ho scritto io questa canzone, ma posso risponderti riportando le intenzioni dell’autore Pasquale Sorrentino, col quale in più occasioni mi sono soffermata a discutere del testo: premesso che in quest’ultimo anno e mezzo, Pasquale ha scritto tante canzoni dall’atmosfera noir – tant’è che molte di esse finiranno nel prossimo album dei Pennelli di Vermeer di cui vi anticipo il titolo: “NoiaNoir” – il testo di “Ombre”, scritto di recente dall’autore, rievoca un’atmosfera onirica, in cui le immagini descritte sembrano volutamente scivolare davanti agli occhi di chi ascolta, un po’ indefinite e sfocate. Il testo trasuda inquietudine esistenziale, in cui si cita anche una relazione amorosa dove “lui” viene definito “soltanto un’ombra e niente più”. Quindi la tua definizione di “ombre che offuscano la mente” è perfetta.»
Tutta colpa di Johnny è una canzone molto giocherellona e che entra subito nella mente, ma chi è veramente Johnny?
«Hai colto nel segno, la canzone è ispirata ad un personaggio che ho avuto la fortuna di conoscere di persona, all’epoca in cui vivevo a Parigi. Passavo spesso le serate nei vari caveaux della città, dove si tengono di continuo delle jam session che spaziano dal jazz al rock, dal folk al bluesgrass, un’ispirazione continua! Durante una di queste jam, conobbi un artista di strada canadese, ormai ultra cinquantenne, trapiantato a Parigi da un po’ di anni. Mi raccontò molte cose della sua giovinezza, trascorsa tra Canada e America, del trasferimento in Francia e infine della sua scelta di vivere in strada. Era decisamente un po’ fuori di testa, ma il suo racconto e la sua dedizione alla musica furono illuminanti, contribuendo a darmi la spinta decisiva a riprendere la mia carriera musicale, che in quel periodo era volutamente in stand by.»
Cosa si nasconde sotto questa Pioggia?
«Pioggia è la descrizione di uno stato emotivo particolare, per la serie: acqua che cade, umore che scende, sia io che Pasquale S. siamo meteoropatici. Pioggia è la metafora di una storia d’amore che affonda e di tutti gli stati emotivi che ne conseguono. Una delusione amorosa, e qui cito il testo, può far sentire le persone come aquiloni rotti che non volano più, strisciando per terra, spesso non vogliono a rialzarsi, perché preferiscono strisciare in assoluta consapevolezza e libertà. Quando una storia importante finisce, incombono i “perché”. Il testo rievoca questo lungo binario dei perché, da percorrere in un viaggio che spesso può essere di sola andata.»
Non ho paura segue un po’ la moda del soprannaturale dei telefilm americani…
«(risatina) Sì! In effetti anche questa canzone fa parte del periodo noir dell’autore, quello di cui ti parlavo prima. A entrambi piace molto quel genere di film, libri, atmosfere un po’ dark e gotiche, dove il vampiro, il mostro, belzebù è sempre in agguato. Nel brano canto la libertà di lasciarsi andare ad un’avventura oscura, solo per il piacere di sottomettersi ad un essere misterioso, che si manifesta, in questo caso, sotto forma di falena.»
Com’è caduta la scelta sulla cover Nessuno, cosa ti lega a questa canzone?
«Prima di decidere di lavorare agli inediti, io e i Motorcycle Mama avevamo già pensato di sperimentare il nostro sound su alcuni brani italiani, così lanciammo un po’ di titoli e tra questi qualcuno propose la canzone “Nessuno”, uno swing che si sarebbe integrato bene nel nostro repertorio. Così l’abbiamo tenuta e infine abbiamo deciso all’unanimità di inserirla nell’Ep.
Seguirà un video, lo state preparando e quale sarà la canzone di punta?
Sì, il video è in programma e ben presto cominceremo a lavorarci, ma preferisco non rivelare ancora quale sarà la canzone in oggetto.»
Seguirà un tour? Oltre alle canzoni dell’Ep, cosa proporrete?
«Per ora sono alla ricerca di un’etichetta alla quale interessi il nostro lavoro. Dopo il live di presentazione al PompeiLab faremo tappa in tutti quei club, associazioni e locali che ci hanno ospitati in questi anni e, il cui pubblico ci sta particolarmente a cuore, speriamo anche di portare il live in altre regioni. Nel frattempo, stiamo già lavorando ad altri inediti che man mano integreremo al live, al momento composto dai brani dell’Ep e da una selezioni di cover, per scelta quasi tutto rigorosamente in lingua inglese, che fanno parte del nostro repertorio storico. Brani coinvolgenti e qualche chicca.»
Haimai pensato di partecipare a un talent show e, cosa ne pensi a riguardo?
«Certo, ci ho pensato diverse volte, addirittura lo scorso anno, con i Motorcycle Mama, ho partecipato ad un casting per un talent aperto anche alle band, presentavamo un nostro brano inedito. Il provino andò molto bene, registrammo anche una puntata pilota della trasmissione, che però non fu mai trasmessa in tv. Inutile dirti che ci siamo sentiti assolutamente fuori luogo, anche se è stato interessante studiare il fenomeno dall’interno. Quello televisivo è un mondo dove tutto è studiato a tavolino, dall’immagine ai contenuti, e non fa per noi. Purtroppo però, i giovanissimi che si affacciano al mondo della musica, credono che partecipare a questi talent sia l’unico modo per avere visibilità e fama, magari non hanno alcuna esperienza sui concerti live, vorrebbero avere tutto e subito e questa è una forma mentis che i media hanno alimentato, quello che il mercato musicale vuole. Le grandi major producono ormai quasi esclusivamente artisti assemblati come in una catena di montaggio, che abbiano alle spalle almeno un passaggio televisivo di questo genere e che assicurino, per almeno un’annata, un certo riscontro in termini di vendite, salvo poi lasciare a se stessi i poveri malcapitati, che verranno ben presto sostituiti da nuovi “vincitori”. Tutto questo mentre il mondo “sommerso” dell’underground, di cui con fierezza mi sento parte, sforna tantissimi artisti di talento, spesso destinati a restare un po’ nell’ombra, ma almeno felici di essere se stessi e di catturare il pubblico grazie alla propria autenticità.»
Quali sono stati e quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?
«La folgorazione è avvenuta verso la fine degli anni ’80, ero ancora una bambina e mi capitò tra le mani un LP, Live Killers dei Queen, album live pubblicato nel 1979.
Quindi i Queen sono stati il mio primo riferimento musicale…poi i The Beatles, Elvis Presley, Deep Purple, Led Zeppelin, The Doors, Jethro Tull, Neil Young, CS&N, la Joplin, Brassens, De Andrè e Guccini e tanti, tanti altri, sarebbe un elenco interminabile! Nei miei trent’anni ho ascoltato di tutto, dalla musica classica al pop, dalla musica folk irlandese a quella nostrana, dal melodico, al reggae al jazz, ritengo che tutto vada ascoltato prima di decidere se è da apprezzare oppure no.»
Quali sono stati i primi brani che hai amato?
«Anche qui rischierei di dilungarmi troppo, tra i primi sicuramente ci sono Bohemian Rapsody dei Queen, Hit the road jack di Ray Charles, Everybody need somebody dei Blues Brothers, Twist and Shout dei The Beatles, Think di Aretha Franklin, Heartbreak Hotel di Elvis Presley, Black or White di Micheal Jackson, Imagine di John Lennon, e così via…»
All’attenzione del grande pubblico ti interessa più suonare in un fumoso club con grandi musicisti e pochi intimi o in uno spazio che raccoglie un pubblico più vasto?
«Suonare in un fumoso club con grandi musicisti di certo sarebbe allettante, ma non mi darebbe mai la stessa soddisfazione e la stessa carica di un concerto live davanti a centinaia, migliaia di persone!!!! Credo non ci sia emozione più grande per chi fa questo lavoro, è veramente qualcosa di indescrivibile.»