Questa sera, 12 novembre 2013, al teatro Bellini di Napoli ci sarà la prima di “Mummenschanz”. A poche ore dallo spettacolo dei “Musicisti del silenzio”, ho il piacere e l’onore di parlare con la fondatrice della compagnia, Floriana Frassetto. La nostra chiacchierata è durata circa mezzora: trenta minuti in cui, grazie alle sue risposte, ho viaggiato attraverso il tempo e lo spazio. Trenta minuti in cui ho assaporato con ogni cellula del mio corpo, non solo tutto ciò che questa donna meravigliosa è riuscita a dirmi, ma soprattutto le pause di silenzio che intercorrevano tra le sue parole.
Potresti trovare le parole giuste per spiegare uno spettacolo che di parole non ne ha?
«Difficile come domanda, ma ci provo lo stesso. Iniziamo col dire che “Mummenschanz” è uno spettacolo visuale, senza musica e senza parole ma pieno di emozioni e di fantasia. È uno show interattivo dove ognuno, a partire dal bambino di 4 anni all’uomo di 106 può immaginare qualsiasi cosa e vedere, attraverso le forme astratte, un suo mondo interiore. Inoltre, le storie che presentiamo, come nella commedia dell’arte, sono canovacci molto semplici: corteggiamento, invidia, amicizia, gelosia … insomma situazioni che, in un modo o nell’altro, tutti abbiamo vissuto.»
Far viaggiare un bambino grazie alla fantasia è semplice, ma cosa mi dici degli adulti?
«Credo che tutti gli adulti abbiano un pizzico di fantasia, il problema è che non la curano. Adesso con “Mummenschanz” non abbiamo la pretesa di curare nessuno, siamo qui per provocare ed evocare emozioni. Vogliamo giocare insieme in questo mondo fantasioso: in ognuno di noi c’è un bambino che ha voglia di giocare, il nostro compito sta nel rispolverare l’identità giocosa del pubblico.»
Puoi spiegarmi meglio la differenza tra il vostro lavoro e quello di un mimo?
«Il mimo utilizza le espressioni facciali per esprimere la maggior parte delle cose, noi invece non mostriamo mai i nostri volti. Utilizziamo maschere trasformabili e col corpo troviamo loro il giusto supporto emotivo. La maggior parte delle volte, la plastilina delle maschere va modellata con la stessa rapidità della parola: sono proprio due tecniche diverse insomma. Molto spesso, indossare maschere ci costringe a non vedere niente, a respirare male… ma non importa, bensì ci diverte: una volta che sei dentro la maschera, ti ritrovi immediatamente catapultato in un’altra dimensione!»
Quando è nato questo progetto silenzioso? Eravate coscienti del fatto che avreste cambiato la storia del teatro?
«Abbiamo deciso di lasciare la parola nel 1971: amavamo riciclare le cose e costruire il nostro mondo di fantasia grazie a materiali poveri. Non avevamo nessuna presunzione ed eravamo incoscienti di tutto. Facevamo i nostri spettacoli davanti a fabbriche e grandi magazzini per vedere se la nostra idea funzionava. Siamo stati sessantottini da giovani e volevamo smontare e rimontare il mondo, senza però utilizzare parole!»
E adesso come allora, mentre tutti faticano a comunicare, voi continuate a dimostrare che in realtà esiste un metodo semplicissimo per scambiarsi emozioni … Siete stati dei visionari!
«Si può dire che siamo stati dei precursori, non c’è dubbio. La nostra soddisfazione più grande però, è racchiusa tutta nelle reazioni del pubblico. Proprio l’altro giorno, a Como, dopo lo spettacolo, una signora ci ha ringraziato per il silenzio che: “È così raro oggi”. E se ci pensi è vero! Vai a comprare la carne e c’è la musica, vai al ristorante e c’è il concerto … ecco perché poi comunicare diventa impossibile!»
Con la musica silenziosa si può dire che avete superato la musica stessa, non trovi?
«Non so se abbiamo superato la musica, quello che so è che il nostro spettacolo è pieno di ritmo e quindi c’è una musica silenziosa che il pubblico sente dentro di sé. Talvolta, dopo lo spettacolo, la gente viene da noi e dice: “Ma che musica ho sentito?”. Ecco, ritengo che questa domanda sia la giusta risposta al tuo quesito.»
La vostra tournée è in giro per festeggiare il 40esimo anniversario, come sta andando?
«Oramai “Mummenschanz” di anni ne ha 42, la cifra tonda l’abbiamo ampiamente festeggiata in Svizzera tempo fa. Dopo queste date italiane, andremo a Londra, Stoccarda, New York, Francia e poi faremo anche un tour sudafricano. Questa però resta la prima in Italia. Speriamo, in un futuro non troppo lontano, di poter andare anche in altre città del nostro stivale: ci sono così tanti teatri qui e tutti meravigliosi!»
Intanto questa sera c’è la prima al teatro Bellini: cosa ti aspetti dal pubblico napoletano?
«In questo spettacolo presentiamo al pubblico una carrellata di creazioni prodotte nel corso di questi 40 anni. Mostreremo il nostro lavoro degli anni ‘70 con le maschere facciali e quello fatto dagli anni ’80 ai duemila con le forme tridimensionali. Anche se la scaletta è più o meno uguale durante la tournée, ogni spettacolo è sempre diverso in quanto ogni pubblico è differente. Ecco perché da Napoli mi aspetto sicuramente qualcosa in più. Io credo che il pubblico napoletano sia caratterizzato da simpatia, ironia e anche da una sincerità molto più innocente rispetto a qualsiasi altra città, per cui sono molto curiosa delle sue reazioni e non vedo l’ora di andare in scena!
Mio padre è nato a Napoli, anche se poi adesso vive a Venezia. Ora non dico che ci sono origini napoletane nella mia famiglia, ma la capitale partenopea è sempre stato un mio grande amore!»