Il pianista e compositore Francesco Grillo torna con il suo terzo album “Frame”, il primo progetto interamente di piano solo. Un percorso di 14 tracce in cui l’artista celebra la musica mettendo insieme la bellezza della classicità e il fascino della modernità. Un album suonato con le “mani del cuore” che riesce a racchiudere un universo di emozioni grazie all’infinito spazio musicale.
Com’è nato “Frame”?
«Il progetto è nato dall’idea di fare un altro disco, ma questa volta senza ospiti: volevo suonare da solo. Volevo raccontare con semplicità il mio percorso, il mio livello compositivo fino a questo momento. Con “Frame” ho cercato di creare un grande mosaico di brani che abbracciasse varie situazioni emotive diverse di brano in brano …»
Come riesci a scegliere una sola parola per racchiudere l’infinito che racconti attraverso ogni brano?
«La scelta dei titoli per me è importantissima in quanto la mia musica è molto rappresentativa. Io cerco sempre di suonare sensazioni e descrizioni, per cui ho bisogno di titoli che rimandino a sensazioni e descrizioni. In realtà non faccio nulla di diverso rispetto a quello che facevano i romantici che parlavano di scene del bosco, temporali, paesaggi bucolici. Debussy parlava di “Cattedrale sommersa”, certo lui aveva amici come Mallarmé che gli suggerivano i titolo, ma questa è un’altra storia…»
Tu nasci come pianista classico, eppure sei diventato un compositore difficilmente etichettabile…
«In effetti mi sono sempre chiesto dove andassero a finire i miei dischi, perché poi da qualche parte devono pur stare. Questo album, ad esempio, è andato in musica classica, però in realtà credo di suonare un qualcosa di sinceramente mio e questa cosa mi piace e non si etichetta.»
Come affronti i tuoi concerti? Qual è il tuo rapporto con il pubblico?
«Gli spettatori sono quelli che decidono la mia scaletta: percepisco i loro stati d’animo e cerco di capire quale brano mi va di suonare rispetto a loro. Il potere della musica è illimitato, può rievocare nell’ascoltatore qualsiasi cosa. Essendo questa un’arte trascendente e non immanente, può suscitare qualsiasi cosa. La musica arriva direttamente al cuore, senza filtri: è questa la sua bellezza!»
Ha collaborato con Stefano Bollani varie volte. Com’è lavorare con un artista del suo calibro?
«E’ sempre bellissimo. Tra l’altro ho da poco suonato alla sua trasmissione “Sostiene Bollani” in cui abbiamo rifatto a quattro mani il brano d’apertura di “Frame”. Lui è un grandissimo artista oltre che amico. Tra le sue molteplici capacità, ciò che non smette mai di stupirmi è come lui riesca sempre a trovare la chiave giusta per suonare qualsiasi cosa, come se conoscesse quel brano da sempre.»
C’è qualche altro compositore che apprezzi come Bollani?
«Senza presunzione, in questo momento faccio un po’ di fatica a trovare pianisti che mi emozionino come Stefano. Ci sono i pianisti classici, ma di compositori non ce ne sono. Non li seguo, anche perché io faccio un altro tipo di cose.»
Da poco si è svolta “Pianocity” a Napoli. Cosa ne pensi di queste manifestazioni?
«Ben vengano! Pianocity è un’iniziativa estremamente importante e mi fa piacere si inizio a trovare nuove strade per avvicinare il grande pubblico a uno strumento complesso come il pianoforte. Tra l’altro grazie a questi eventi si va più a fondo anche nella storia dello strumento stesso e per capire la musica di oggi, per fare nuova musica … bisogna conoscere quella vecchia, avere tutte le conoscenze possibili.»
Il disco è appena uscito, ma hai già programmi per il futuro?
«Ho tantissime idee, però preferisco parlare delle cose che ho già fatto e non di quelle che ancora devo fare. Adesso potrei dirti che voglio fare un quarto cd ricco di collaborazioni e finire di scrivere un concerto per pianoforte che ho anche iniziato ma poi abbandono sempre per motivi di lavoro… Potrei dirti tutte queste cose, ma se poi cambio idea?»