Ama i personaggi estremi Maria Paiato che, dopo Anna Cappelli di Annibale Ruccello, ora è protagonista, ancora guidata dalla regia di Pierpaolo Sepe, della Medea di Seneca, nella versione/adattamento di Francesca Manieri, in scena al Teatro Nuovo di Napoli (repliche fino a dom. 1 dicembre), presentata da Fondazione Salerno Contemporanea.
Un’altra donna estrema che, abbandonata dal suo Giasone e straniera in terra straniera, ammazza la rivale e poi i suoi figli. A renderla ancor più estrema è la scrittura di Seneca, che s’ispira alla tragedia di Euripide, ma accentua l’ira sfrenata e il desiderio di vendetta della protagonista come unici strumenti possibili, per placare un dolore ingiusto e incolmabile, di cui è vittima e artefice allo stesso tempo. La disperazione “umana” dell’eroina euripidea (donna, straniera, non greca, senza patria, diritti e famiglia) di fronte a un Giasone tronfio, opportunista e ingrato, cede il passo, in Seneca, a una creatura demoniaca, dominata esclusivamente dalle passioni, con il coro (non a caso) a parteggiare per lei in Euripide, per lui in Seneca. Una storia che, come ogni mito, è indifferente al tempo e ai tempi, perché parla di vendetta, di passione, di morte, e perché la solitudine, il senso di non appartenenza e il disorientamento fanno di Medea un personaggio femminile complesso e moderno. “Medea infrange i sacrosanti legami della maternità” spiega Sepe, e con questi “le sacrosante leggi dell’universo”. Per amore di Giasone ha tradito e ucciso la propria famiglia, ha rubato il Vello d’Oro, ha aiutato gli Argonauti a tornare in patria, “ha salvato soprattutto Orfeo, sul cui canto si fondano le radici del sapere occidentale”. In cambio, ne ha ricevuto l’abbandono a favore di Creùsa e l’esilio, lei già esule dalla sua Patria. La vendetta che cerca è assoluta, irrazionale, autolesionistica: uccidere i propri figli, oltre naturalmente la rivale, perché uniche due cose che appartengono a entrambi. Una furia così cieca che le fa dire: “Che io sia maledetta per aver partorito solo due volte. Fui sterile per la Vendetta”. Compiuta la quale può finalmente sentirsi se stessa: “Medea nunc sum”.
La Paiato dà al suo personaggio una forza e una disperazione esplosive, all’altezza del personaggio. La Paiato è Medea. Anche quando, cercando la pietà del tiranno Creonte prima, e di suo genero Giasone poi, finge remissione, sottomissione. Una doppiezza che non fa che aggiungere spessore a personaggi – come quelli delle tragedie classiche, appunto – altrimenti archetipici, pirandellianamente “fissati” nei propri ruoli. Lo stesso dicasi per il bel Giasone di Max Malatesta, oscillante tra il vile – ai limiti della puerilità – e il tracotante, e per il Creonte di Orlando Cinque, che nell’unico episodio in cui è coinvolto dona molteplici sfumature a un personaggio altrimenti monolitico. Merito questo anche di una regia attenta e sapientemente moderna (se si eccettua qualche innesto di troppo nei cori). Moderni e interessanti anche la Nutrice di Giulia Galiani e il Coro di Diego Sepe.
Pierpaolo Sepe confeziona uno spettacolo bello dal punto di vista estetico, dal ritmo incalzante, pieno di interessanti trovate sceniche (vedi l’evocazione dell’uccisione dei figli). Anna Paola Brancia D’Apicena firma gli eleganti costumi, Francesco Ghisu le belle scene che rievocano al tempo stesso una devastata domus pompeiana e una moderna fabbrica abbandonata, “grigio abisso di decadenza e solitudine”. Atmosfera ricreata anche grazie al bel disegno luci di Pasquale Mari. Uno spettacolo emozionante ed elegante che, dopo il debutto al Piccolo milanese e il successo della prima napoletana, toccherà altre città tra cui Roma (Teatro Eliseo, dal 1 al 17 Aprile 2014) e Torino (Teatro Carignano, dal 20 al 25 maggio).
Da vedere.