4Est, nome d’arte di Daniele Russo, dopo l’uscita del suo primo EP “Vaporwave” torna sulle scene con il video di “Frankenstein“, nuovo estratto dal suo lavoro discografico. Il brano racconta uno dei drammi del nostro tempo: la mostruosa violenza che il genere umano, femminile o maschile che sia, è capace di perpetrare nei confronti di sé stessi e dei propri simili. «È la metafora dell’alienazione, dell’emarginazione, alla ricerca di un’umanità persa». “Frankenstein” dal suono trap-house ha atmosfere lo-fi ed è una storia iper-reale che ribalta la visione violenta tra individui dove la metafora del “mostro” rappresenta il possibile male che è dentro ognuno di noi. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con 4est, parlando in particolar modo del suo lavoro “Vaporwave”, le cui quattro tracce (Alieni, Frankenstein, Error404, Vaporwave) svelano le problematiche più attuali e le paure più intime di tutte le generazioni.
‘VaporWave’ è il tuo ep di debutto. Cosa rappresenta per te questo primo lavoro?
«Musicalmente rappresenta il mio modo per affrancare Napoli da questa etichetta neorealista altalenante tra gomorrap e rap di protesta. Noi siamo anche altro. In secondo luogo rappresenta un modo per parlare realmente di futuro».
Il tuo ultimo singolo estratto dall’Ep è “Frankenstein”, una storia iper-reale che ribalta la visione violenta tra individui dove la metafora del “mostro” rappresenta il possibile male che è dentro ognuno di noi. Ce ne vuoi parlare?
«Le storie legate alle canzoni hanno come tema centrale il futuro. Come saranno i rapporti umani allora? Cosa sta accadendo dentro ognuno di noi? Ma soprattutto, la domanda vera è: esiste il futuro o stiamo solo camminando a ritroso? Mancano prospettive e si preferisce andare sul sicuro andando a riprendere qui e lì da tempi passati. Nella moda, nella musica, nel modo di governare la gente. Con questo ritmo si corre il rischio di tornare alla preistoria!».
Vaporwave oltre ad essere il titolo del tuo lavoro è un microgenere di musica elettronica che nasce e si sviluppa su internet . In che modo si sposa al tuo concept artistico?
«In Frankenstein un uomo subisce le violenze psicologiche di una donna. Si avvale di fatti realmenti accaduti e vissuti in prima persona. Marracash ne ha già parlato in un brano del suo ultimo album, intitolato appunto ” Persona”. Il narcisismo patologico, difatti, è un disturbo della persona presente nel manuale dei disturbi mentali (DSM) e oggi purtroppo molto diffuso. Consiste nel demolire la persona con cui si sta accanto facendole credere di amarla. Tutto questo per desiderio di dominio e potere sugli altri. Una spinta che purtroppo è tipica di questo periodo improntato sull’individualismo e sull’ascesa sociale. In genere si parla sempre di violenze dell’uomo sulla donna. Abbiamo giustamente provato a non dissimulare la verità, cioè a spiegare che violenza non ha genere, né specie. Così ci è venuta l’idea del colpo di scena finale (…andate a guardarlo). Se vogliamo essere precisi oggi la parola chiave è intersezionalità.Noi stiamo alla vaporwave come Dio sta nel tutto. Non è solo un concept, ma ciò che siamo realmente. Noi non ci facciamo influenzare dalla moda o dai costumi. Noi siamo reali. Siamo la gang della vapor».
In passato hai collaborato con la storica scena elettronica campana rappresentando l’Italia in terra orientale (Libano – Teatro dell’Unesco) con un progetto culturale contro la guerra. Ce ne parli?
«Il progetto in Libano faceva parte di un percorso di conoscenza e sostegno con le realtà locali che vivevano e purtroppo vivono ancora oggi situazioni di guerra e limitazione delle libertà. Parliamo di gente deportata, con familiari uccisi. Parliamo di coprifuoco e posti di blocco fissi in tutta la città; ma tutto questo meriterebbe un discorso a parte».
Come e quando ti sei avvicinato alla musica?
«Mi sono avvicinato alla musica grazie ai dischi e le cassette di mio zio. Difatti, quando ero un bambino e vivevo a casa di mia nonna, perché mio padre lavorava a Milano e mia madre era fuori tutto il giorno per portare la pagnotta a casa, la musica era per me una grande compagna. Ascoltavo sempre un 45 giri del 1971 che ho conservato: “Theme from Shaft” di Isaac Hayes. Non avevo ancora 5 anni».
Perché 4Est?
«Mi hanno sempre chiamato così, o meglio, mi chiamano furèst (selvatico) per via del mio essere grezzo in alcune circostanze. Da furèst poi è nato 4est».
Quali i tuoi prossimi progetti?
«È difficile dirlo. Ci hanno rubato il futuro. L’unica cosa che posso dirti è cosa non voglio più. Non voglio che il passato condizioni la vita delle persone. Solo quando ci libereremo da certi pesi mentali saremo capaci di costruire un futuro e fare davvero progetti. La musica? Continuerò a farla».