Mario Gelardi propone questa volta in forma di racconto un testo di impegno civile, come nella sua poetica di sempre: «A dieci metri da terra, il sole ti martella in testa, lasciandoti chiazze come di sale sulla pelle ‑ racconta l’autore ‑, il sole a venti metri da terra ti scava solchi in viso e, ad ogni solco, ad ogni ruga, lascia come un tatuaggio sulla tua pelle. In piedi su un asse, a trenta metri da terra, il sole è come lama di coltello, lascia piccoli tagli sulla tua pelle senza mai andare a fondo, come un’interminabile tortura cinese. A quaranta metri da terra, il sole rimbalza sulle pietre bianche di calcare, il sudore è come olio caldo che frigge la pelle. Erano in quattro, in piedi sul limite estremo dell’impalcatura, sotto di loro qualche centinaio di persone li guardavano con gli occhi in su: madri, figli, amici, curiosi, due camionette della polizia e una macchina con la sirena sopra, tre giornalisti di cui una di una televisione locale, due cani randagi di cui uno zoppicante».